Un libro da raccontare

“Solo per caso”, un bel giallo tra “I Buddenbrook” e le soap

A capotavola sedeva il Vecchio, non tanto vecchio né tanto svanito, ma all’antica, con i baffi alla Gable e il sorriso bonario.

L’inizio di Solo per caso di Sandra Marchese Nicotra richiama, in qualche modo, l’atmosfera de I Buddenbrook, uno dei pilastri della letteratura europea, in cui Thomas Mann narra, a partire dal 1835 e per quattro generazioni, il disfacimento di un nucleo familiare della borghesia mercantile di Lubecca. La propria famiglia.

Se però nel capolavoro di Mann in settecento pagine non si registra alcun colpo di scena, in Solo per caso, che è un giallo ambientato ai giorni nostri, gli sconvolgimenti sono continui. La famiglia, prima turbata dagli screzi tra due cugini dagli occhi azzurrissimi, eredi del piccolo impero, viene sconvolta dal barbaro assassinio del vecchio Tommaso Cerri, tutto casa, lavoro, benessere.

Punti in comune sono però i personaggi descritti in entrambi i libri, tipici delle dinastie economiche mitteleuropee (i Cerri vivono tra la lombarda B. e Lugano), e la cura nel dipingere le condizioni sociali di ciascuno, oltre che i caratteri, grazie ad acuti approfondimenti psicologici.

Certo, Solo per caso, risente poi – per fortuna? – di tutto ciò che venne dopo il 1901, anno della pubblicazione de I Buddenbrook, come quelle soap opera radiofoniche nate negli Usa negli anni Trenta nel Novecento. È dunque veloce, ritmico, ben scritto, piacevole da leggere nonostante l’intricata rete di avvenimenti che si sovrappongono e che l’Autrice, con grande talento narrativo, tesse sotto gli occhi del lettore.

Affidando poi il compito di sbrogliare l’ingarbugliata matassa a un commissario di polizia venuto, guarda un po’, da Catania, tra l’Etna e il mare di Trezza. E che sognava di fare l’entomologo. Un giovane smilzo, dall’aspetto malinconico, vestito di grigio, talmente anonimo che l’Autrice non gli dà un nome proprio, ma solo un cognome: Rienzi, poliziotto che non ama il suo lavoro, ma lo esegue per dovere e con precisione.

La piccola comunità di B. vive malissimo l’omicidio di Cerri, ponendosi, dopo il grandioso funerale, mille domande: Lui era il perno della ditta; morto lui, chi avrebbe preso le redini? Troppe cose da aggiustare. Ma i figli abulici come Monica, priva di grinta o mediocri, come Enzo, non avrebbero retto allo stress. C’era il genero, ambizioso e capace, ma era pur sempre un estraneo. C’erano i nipoti e la ragazza e tutti, tutti, dovevano avere qualcosa.

Troppo chiusa è, però, la comunità lombarda – sarebbe eccessivo definirla omertosa? – in cui tutti sanno ma nessuno parla, soprattutto gli avvocati. E dalla narrazione questo silenzio emerge quasi palpabile, così come sembra quasi di vedersi circondati dalla nebbia, soffocati dall’angoscia di vivere in luoghi senza colore.

A parlare è solo una ragazza, Marta, povera ma piena di determinazione, figlia di un idraulico investito da uno dei due cugini, che sono entrambi innamorati di lei. È il personaggio attorno al quale si delinea l’affresco di una ricca borghesia che ha tanto da nascondere, a cominciare dalle doppie vite, dalla depressione curata andando dal parrucchiere, da tante storie di miseria morale e umanità.

Ma quel che Marta sa, e dice, non basta. Così Rienzi se ne torna a Milano.

Per essere richiamato precipitosamente quando scoppia il finimondo, tra liti, ex mariti, automobili azzurre, incidenti stradali, agguati.

È nell’entomologia, e in particolare nelle caratteristiche dell’Ichneumonidae, che il Commissario troverà la chiave per scoprire cosa ci sia dietro la serie di delitti, che trovano così, l’uno dopo l’altro, la loro collocazione nel perfetto meccanismo del racconto.

Il libro si chiude con la descrizione della breve, meravigliosa, vacanza sull’Etna del Commissario: L’azzurro di quel cielo e di quel mare gli rimasero dentro, come un elisir misterioso. Puntuale, egli ritornò al suo lavoro.

A Milano pioveva.

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