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Riflessioni sul Recovery plan di domani e sulle baraccopoli messinesi di oggi

La recente proposta del governo centrale di adottare iniziative urgenti, dotando il comune di Messina di poteri derogatori, rappresenta finalmente la degna qualificazione del tema delle “baraccopoli” come tema della “road map nazionale” di sviluppo connesso al Recovery Plan. Delocalizzare le persone che abitano nelle strutture fatiscenti e bonificare, riqualificando i siti interessati, rientrano tra gli obiettivi di un moralmente necessario intervento statale di inclusione sociale da realizzarsi mediante un collegamento tra il progetto di risanamento ed il piano nazionale di ripresa e resilienza, fulcro degli interventi speciali di coesione territoriale. Certo il rischio che la questione possa avere lo stesso destino dell’emendamento alla finanziaria regionale, che prevedeva lo stanziamento di risorse per circa 200 milioni, a valere sui fondi extraterritoriali per la bonifica ed il recupero delle aree degradate della città, risulta essere assai elevato anche alla luce del parallelo emendamento regionale che autorizzava la spesa annua di 500 mila euro a favore dell’A.ri.sme. Quest’ultimo provvedimento, soprattutto, non risulta essere a riguardo di buon auspicio visto proprio l’importo esiguo del provvedimento alla luce degli obiettivi funzionali che la stessa agenzia si propone di realizzare e perseguire. Se oggi, quindi, le “baracche di Messina” risultano essere state finalmente assunte a problema nazionale di presenza dello stato sul territorio non va, però, dimenticato che da oltre cento anni le stesse risultano essere state un ignorato problema locale di salubrità, problema connesso anche alle tante discariche, ormai, sorte tra le strutture abbandonate. Me se le “baracche di Messina” sono teoricamente e primariamente un problema di dignità sociale calpestata e di mancati interventi speciali di coesione territoriale è pur vero che la risoluzione della problematica, non potrà che essere, in ultimo, un problema di speranza e prospettiva per un’intera comunità. La risoluzione, infatti, necessità di un’attività di formazione relativa proprio alla gestione sociale del patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica, formazione che introduca nelle menti dei cittadini anche delle possibili applicazioni del paradigma della “resilienza” nello stile di vita rispetto all’alloggio. In tal senso risolvere il “problema delle baracche” significherà, infatti, anche sviluppare il complesso delle “buone pratiche” aiutando gli inquilini ad introdurre, nella loro quotidianità, modalità dell’abitare più attente e consapevoli. Occuparsi dell’edilizia popolare significa sviluppare le conseguenze strategiche strutturali all’aumento delle nuove fragilità sociali che, oggi più che mai, si traducono in una continua e maggiore domanda di una casa popolare. L’abitare consapevole, però, deve comportare non solo il rivolgersi alle infrastrutture, ed ai necessari e fondamentali progetti di rigenerazione sociale, ma anche partire dall’educazione all’abitare, educazione intesa non come rispetto del bene ma come rispetto delle persone. Certo l’iter immaginato risulterà lungo e necessiterà di una politica dell’abitare sociale di reale impatto con al centro l’edilizia sociale pubblica nell’ottica di una educazione alla cittadinanza, ed all’abitare, che parta dai progetti, sia dal punto di vista dei risultati che da quello del valore dell’impatto sulle realtà dei partecipanti, educando all’abitare come educazione alla cittadinanza. I servizi abitativi devono essere più vicini alle periferie “abitando i confini” con una gestione efficace per uno sviluppo territoriale inclusivo volto a promuovere il senso dell’abitare individuale insieme con quello di una comunità inclusiva e responsabile. Ciò, certamente, preverrà contrasti e marginalità sociali di non poco conto. Rilanciare l’ERP è, infatti, una materia essenzialmente composita proprio perché riguarda la qualità dell’abitare e della vita sociale, con varie difficoltà sia operative che finanziarie-giuridiche necessitando, pertanto, di una un’attenta calibratura e configurazione delle sfide giuridiche di project management che il settore presenterà. Affrontare e superare tale sfida permetterà che il Next Generation Europe, applicato allo sviluppo dell’ERP, pervenga allo scopo auspicato non di “generare cose” ma costruire cittadini. Solo allora lo stato sociale tornerà a essere stato sociale e proprio in questa ottica si può comprendere il perché oggi rilanciare l’ERP significherà, soprattutto per il meridione, vincere una imprescindibile battaglia di equità territoriale. Solo così la sfida del futuro che ci attende potrà cambiare il mondo. Non partendo dagli obiettivi che il mondo si prefigge ma partendo dalle proprie componenti basilari, le persone.

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