“Le confessioni”: da Sant’Agostino a Sangiuliano, Giambruno, Mammucari e Mariotto. Passo non breve
Pur avendo preso a prestito il titolo “Le confessioni” da Sant’Agostino, forse il maggiore rappresentante della Patristica cristiana, in realtà le confessioni, oggetto dell’articolo, sono di ben altra levatura.
Al giorno d’oggi, i panni sporchi non si lavano più in famiglia, anzi “piagnucolare” in TV e raccontare episodi intimi o scabrosi della propria vita è diventato una vera e propria moda. Un ottimo modo per implorare il perdono o per far parlare di sé quando le luci della ribalta sembrano affievolirsi.
A partire da Sangiuliano che, dopo le rivelazioni di Maria Rosaria Boccia sulla mancata nomina al ministero della cultura come consigliera del ministro e sui suoi rapporti intimi con lo stesso Sangiuliano, ha dovuto rassegnare le dimissioni e a confessarsi piangendo e chiedendo scusa alla moglie e a Giorgia Meloni, in diretta e al TG1 (e verrebbe da commentare come Totò nella commedia “47 morto che parla” – e io pago!).
La vicenda di Gennaro Sangiuliano, però, non è solo un atto privato recitato in pubblico, con pessimo gusto, e non si tratta di mero gossip o della trama di un cinepanettone, poiché non solo mostra la inadeguatezza di gran parte della classe dirigente ma sembra indicare l’uso di promettere incarichi a questo e a quello per evitare di essere ricattati; se le cose stessero davvero così saremmo ben fuori dal gossip e si tratterebbe invece di una vicenda di natura politica con possibili echi di tipo giudiziario.
A stretto giro di posta, Andrea Giambruno, ormai ex compagno di Giorgia Meloni, dopo i famosi fuorionda del TG satirico “Striscia la notizia”, si è confessato a “Dritto e Rovescio”, intervistato da Paolo Del Debbio. Ha chiesto scusa a tutti. Nella speranza di tornare in video, ha cercato di scrollarsi di dosso la fama del provolone anche perché – ha detto – prima non facevo il fornaio! Certo, pur non essendo un fornaio, non essere più il compagno del capo del governo gli ha tolto parecchia visibilità e, forse, l’accesso a qualche favore.
Nelle ultime settimane, poi, hanno tenuto banco il caso di Teo Mammucari ospite di “Belve” e dello stilista venezuelano Guillermo Mariotto a “Ballando con le stelle”.
“Belve”, com’è noto, è un programma del genere talk show condotto da Francesca Fagnani, durante il quale la conduttrice intervista spesso con domande personali il suo ospite; il programma stesso, di per sé, è segno dei tempi: il suo successo mostra il voyeurismo dei telespettatori, ansiosi a quanto pare di conoscere i dettagli intimi della vita dei personaggi famosi, le loro “discese e le loro risalite”; le caratteristiche del format, che piaccia o no, sono però note a tutti e quando Mammucari ha chiesto di essere invitato sapeva bene che non si sarebbe parlato del tempo. Di fronte alle domande incalzanti di Francesca Fagnani e al fatto che gli desse del Lei, per porre le distanze, Mammucari ha lasciato innervosito lo studio, borbottando tra sé e sé frasi sconvenienti; poco dopo ha rilasciato un’intervista a Selvaggia Lucarelli in cui confessava di essere un soggetto ansioso, di fare spesso ricorso agli ansiolitici perché le donne forti gli creano ansia e nervosismo. Certo lui le donne le preferisce sotto un tavolo di plexiglass, come ha fatto in passato. Viene da chiedersi se Teo “c’è o ci fa”; il disagio era reale o si è trattato dell’ennesima sceneggiata volta a far parlare di sé?
Il secondo, cioè Mariotto, assai noto per essere il giudice strambo di “Ballando con le stelle”, in una delle ultime puntate ha lasciato lo studio anzitempo, prima delle votazioni, senza dare spiegazioni. In tanti, sui social, chiedono il suo licenziamento, ma lui torna piagnucolando, chiedendo scusa e confessando di essere stressato, di avere problemi personali. All’ultima puntata, ennesimo colpo di scena, non si presenta.
L’abitudine di lavare i “panni sporchi in pubblico” sta contagiando tutte le persone che lavorano nel mondo dello spettacolo, che non esitano a raccontare di malattie, loro o dei loro familiari, di violenze subite in diversi periodi della propria vita, delle chemioterapie e delle malattie mentali. Anche i processi sono diventati mediatici: la gente da casa li segue come se si trattasse di serie TV: emette giudizi, si schiera e aspetta con ansia la prossima puntata.
Certo, a volte, questi eventi vengono raccontati con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su un problema, di far discutere e di promuovere un cambiamento (si pensi ad esempio al padre di Giulia Cecchettin, subito in televisione dopo l’assassinio della figlia, o al caso, che sta facendo molto discutere in Francia, di Gisèle Pelicot, anestetizzata e violentata dal marito e da più di 50 uomini sconosciuti, che ha deciso con coraggio di tenere a porte aperte il processo contro suo marito e i suoi stupratori); però l’interesse morboso con il quale la gente segue questi eventi o questi racconti dice molto sul voyeurismo della società occidentale.
“Il capitalismo è un modo di produzione fondato sulla merce – dice Paolinelli sociologo e giornalista – la civiltà capitalistica è un sistema di riproduzione sociale della forma-merce in forma-pensiero… ha esteso ovunque la sovreccitazione sensoriale come modo di vivere, ha esteso in chiunque un sistema di bisogni percettivi corrispondente a quella sovreccitazione. Vettori dell’estensione sono i mass-media… Lo sguardo mediatizzato è una modificazione della percezione amministrata dal potere dei mass-media.” (“Il borghese e lo sguardo. Mutazioni dei sensi nella civiltà capitalistica”, Patrizio Paolinelli).
E se i mass media amministrano il potere è chiaro che queste confessioni in TV, questa attenzione allo scandalo, questa lacrima facile da dare in pasto al pubblico, sono anche facili distrattori di massa per evitare che la gente a casa si faccia davvero un’opinione su ciò che conta e su ciò che potrebbe migliorare la propria vita.
“C’è del marcio in Danimarca” (e anche in Italia) avrebbe tuonato Amleto se avesse potuto gettare uno sguardo all’attuale situazione italiana.
Di fronte a tutti questi spettacoli indecorosi e alle contraddizioni di una classe politica che predica bene e razzola malissimo, una facile via di fuga sarebbe la “casa in collina, di pavesiana memoria” (Scanzi); ma se vogliamo ancora lottare e credere nel cambiamento non ci resta che informarci, studiare e soprattutto riprendere ad indignarci.