Specchio, specchio delle mie brame… Chi è l’identità che non si lascia domare?

C’era una volta, in un regno ormai non troppo lontano e distopico, un’ossessione per la bellezza che non conosceva tregua. In quel mondo inquietante, ogni riflesso cambiava pelle come un serpente e tutti, ma proprio tutti… avevano l’ansia di invecchiare; le rughe erano piccoli rebus da risolvere a colpi di siringa, mentre il sorriso veniva scolpito come un monumento all’invulnerabilità. Era un regno in cui la decadenza non generava compassione o tenerezza, ma diventava un nemico da combattere con ogni filtro reale o virtuale.
Volete sapere chi fosse la regina di questo regno? Vi ricordate della regina Grimilde? Proprio lei, la perfida matrigna di Biancaneve! Colei che, non passava giorno, che non chiedesse allo specchio chi fosse la più bella del reame. Ebbene, dopo il tentato omicidio della figliastra vive sempre più arroccata nel suo castello. Non è più la matrigna arcigna dei racconti infantili, ma l’archetipo mutato del sé contemporaneo: Grimilde non tenta più di uccidere la giovane rivale, ma si avvelena lentamente pur di rimanere desiderabile, di perpetuare un’immagine che non ammette erosione.
Ogni mattina, al posto dello specchio incantato, consulta l’app che fornisce punteggi di attrattiva in tempo reale e consigli di stile per affinare l’immagine. La bellezza non è più desiderio di armonia, ma esercizio di resistenza contro la decadenza. Il corpo diventa superficie da amministrare, non più da abitare e curare come “luogo” di ricordi preziosi.
Ora gli abitanti del regno redigono il proprio libro di favole, sul loro stesso corpo. Le matrici di riferimento sono state stravolte e gli originali non li conosce più nessuno. Penna e calamaio sostituite da siringa e fiala di botox incidono sulla pelle un canone che nessuno ha scritto ma tutti leggono e le nuove adolescenti, affamate di modelli impossibili, stampano sul proprio viso una grammatica che nessuno ha mai formulato ma tutti apprendono a memoria: ogni iniezione diventa un segno normativo, ogni tratto caratteristico, che fu dono di natura, una nota stonata nell’epopea della perfezione. Il corpo cessa di essere premessa dell’identità e diviene bozzolo informe da rimodellare fino alle estreme conseguenze.
E mentre Narciso sprofonda in un lago di pixel, il suo riflesso non è più l’acqua cristallina della fonte, ma lo schermo retroilluminato pronto a restituire un’immagine filtrata e desiderata. Ma proprio quando lo specchio digitale restituisce la copia più levigata di sé, l’identità autentica si eclissa. Perché l’io riflesso non è mai l’io, ma un simulacro che parla una lingua muta.
Non pensate, però, che in questo regno non vi sia un eroe; infatti c’è chi sceglie di fare come Alice e attraversa lo specchio anziché restare impantanata nel proprio riflesso perfetto. Oltre il vetro, le regole si frantumano e la verità appare nuda: non si tratta di cercare un’immagine migliore, ma di rinunciare all’idea stessa di immagine. È solo nel paese al di là dello specchio che la bellezza si ritrae per farsi profondità. Il volto diviene il varco d’ingresso verso uno spazio dove contano le domande e non le risposte prefabbricate.
Seguendo la lezione di Levinas, il volto dell’Altro (le visage) infrange la tirannia del riflesso e si configura come evento etico. Non mi specchia, non mi conforta, non mi rassicura: mi interpella. Mi mostra ciò che mi manca, mi sfida a uscire dalla mia forma. In quella chiamata silenziosa, la bellezza smette di essere esteriore e diviene intima, pervasa di responsabilità: un impegno nei confronti dell’altro, un riconoscimento che il mio io non si esaurisce in un’immagine.
I tanti eroi silenziosi che decidono di attraversare lo specchio, così, in quest’apologia dell’imperfezione, trasformano ogni cicatrice e asimmetria in firme di autenticità. Creano composizioni musicali, con pause irregolari, intervalli spezzati, tonalità oblique… per dar vita all’armonia più vera. L’essere umano si compone, come partitura aperta che dona una visione d’insieme delle sue plurime sezioni.
Specchio, specchio delle mie brame… la vera identità non è quella che si lascia domare, non cerca conferme nel riflesso, ma si fa relazione. È l’immagine che fugge la superficie per rivelare l’invisibile, è il volto che non chiede applausi, ma sussurra domande. E in quel dialogo aperto, la bellezza riemerge, non più tiranna vanesia ma compagna di viaggio verso ciò che ancora non siamo.