L'Opinione

Democrazia e Trattati internazionali “liquidi” mentre la Flotilla naviga verso Gaza

C’era una volta “La democrazia in America”, quella descritta da Alexis de Tocqueville, e anche in tanti paesi del mondo vigevano governi democratici; c’erano una volta i diritti, le convenzioni e i trattati internazionali. Da un po’ di tempo la democrazia è diventata liquida, per usare il concetto formulato dal sociologo Frank Deker nel 2006. Fondata sulla combinazione di due modelli di partecipazione democratica – la democrazia rappresentativa e la democrazia diretta – la democrazia, divenuta troppo liquida, ha iniziato a presentare rischi e criticità tra cui la possibile concentrazione del potere decisionale nelle mani di pochi rappresentanti che possono diventare influenti e dominanti, nel processo decisionale, e che spesso guardano con fastidio le istanze provenienti dal basso attraverso cortei e manifestazioni. Per citare un esempio, le manifestazioni pro-Palestina sono state derubricate sottolineandone non la imponente portata ma le violenze innescate da alcuni facinorosi.
Negli ultimi tre anni anche convenzioni condivise da buona parte degli Stati sembrano essere state cancellate. E il diritto internazionale? Carta straccia. Niente e nessuno è riuscito a fermare Netanyahu e il suo governo che devastano i territori assegnati ai palestinesi da accordi internazionali e “colpiscono impunemente una struttura pubblica di un Paese straniero come il Qatar perché ospita una delegazione di Hamas”.

È davanti agli occhi di tutti, anche di chi non vuol vedere, che è in atto la demolizione dell’apparato internazionale di rispetto reciproco tra gli Stati, frutto e risultato principale dell’impegno politico dei vari paesi dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.
Le devastazioni a Gaza, le occupazioni violente e abusive in Cisgiordania, la guerra per fame contro i palestinesi, i quasi ventimila bambini uccisi in questi due anni, i bombardamenti di ospedali, scuole, asili, la morte di 250 giornalisti sono stati giustificati da Netanyahu nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con aria di sfida, sostenendo che si tratta di una lotta ai terroristi di Hamas e che in fondo i palestinesi erano stati invitati a fuggire.
Tante le proteste al suo discorso, mediante fischi e contestazioni aperte, segno evidente della profonda spaccatura diplomatica che la sua figura rappresenta oggi sulla scena internazionale; e mentre “il presidente dell’assemblea è stato costretto a richiamare più volte l’ordine, nel tentativo di ristabilire il protocollo istituzionale, diverse delegazioni hanno lasciato la sala in segno di protesta”. Un gesto politico forte, non solo contro Netanyahu, ma anche contro “la complicità silenziosa delle Nazioni Unite di fronte al genocidio in corso nella Striscia di Gaza”.
E mentre 157 paesi hanno riconosciuto lo Stato di Palestina – tranne 36, tra cui l’Italia che hanno rinviato il riconoscimento alla sconfitta definitiva di Hamas – è scoppiato il caso della Flotilla.
La Global Sumud Flotilla, diretta a Gaza per fornire aiuti umanitari alla popolazione palestinese, conta 52 imbarcazioni con un equipaggio formato da 44 nazionalità diverse, si trova ora a 366 miglia nautiche e stima di arrivare nella zona ad alto rischio tra due giorni. Tanti i rappresentanti politici, da Meloni a Mattarella – che pur avendo mandato due navi per garantire la sicurezza dei cittadini italiani – hanno chiesto di fermarsi a Cipro per non infrangere il blocco navale di Israele. Ma la flottiglia non intende fermarsi ritenendo quel blocco illegittimo. In effetti, in tempi di guerra si possono istituire blocchi navali ma nel proprio mare e non a Gaza, poiché in base agli accordi internazionali quel mare non è di Israele.
“Certamente chi porta quei viveri non pensa di sfamare oltre due milioni di palestinesi a Gaza: vuole fare un forte gesto politico che merita il massimo rispetto perché ci mettono non solo la faccia, ma si giocano la pelle perché in qualsiasi momento può succedere l’irreparabile”.

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