The show must go on!

Giorno 20 agosto si sono svolti a Militello Val di Catania i funerali del noto e amato conduttore televisivo Pippo Baudo.
Alla cerimonia funebre hanno partecipato commosse centinaia di persone provenienti da ogni parte dell’Italia. La chiesa era gremita, quindi i molti che non sono riusciti ad entrare hanno riempito la piazza, mentre chi aveva “agganci” in paese è riuscito ad accaparrarsi un posto in balcone.
L’uscita della bara è stata accompagnata da un lungo applauso.
La cerimonia funebre è stata trasmessa in diretta TV, consentendo a chi non poteva muoversi di seguire l’evento dal proprio salotto.
Non sono stati tanti i VIP realmente presenti a Militello durante il funerale, ma dal giorno della morte del noto presentatore, tutti, famosi e meno famosi, hanno cominciato a postare sui social foto con il conduttore e a pubblicare messaggi nei quali ricordavano con cordoglio i momenti preziosi trascorsi insieme (anche se magari lo avevano incontrato solo una volta all’aeroporto e si erano fatti firmare un autografo).
Insomma anche in questo caso, come in altri simili e un po’ meno recenti, una morte e un funerale, eventi dolorosi e intimi da vivere insieme ai propri cari, si sono trasformati in veri e propri spettacoli che poco hanno da invidiare alle sontuose feste siciliane in onore di Sant’Agata e Santa Rosalia (che, feste religiose in origine, sono diventate oggi veri e propri spettacoli pagani a uso e consumo di turisti e cittadini).
D’altronde che i funerali delle persone famose siano diventati eventi a tutti gli effetti abbiamo avuto prova durante l’increscioso evento che si è verificato durante la cerimonia funebre di Papa Francesco: alcune persone si sono scattate selfie con la bara del pontefice come sfondo, quasi fosse un tramonto o un monumento celebre.
Durante i funerali di Maurizio Costanzo, invece, due persone hanno chiesto a Maria De Filippi, affranta e intontita dal dolore, di poter scattare una foto insieme a lei.
Per non parlare degli studenti in viaggio d’istruzione ad Auschwitz, che si sono fatti immortalare mentre sorridevano allegri, seduti sulle rotaie sulle quali avevano viaggiato i vagoni carichi di ebrei.
La spettacolarizzazione del decesso e del dolore è solo in apparente contrasto con il fatto che nella società occidentale la morte sia negata e considerata un tabù. Così come non si può parlare della “Grande Mietitrice” in pubblico senza provocare imbarazzo (e di nascosto anche qualche apotropaico gesto di scongiuro), anche la trasformazione della morte in spettacolo, in fondo, serve al medesimo scopo: negarne il suo aspetto tragico e doloroso.
Nel 1975 Philippe Ariès, storico medievalista francese, pubblicava un saggio dal contenuto ancora molto attuale: “Storia della morte in Occidente: dal Medioevo ai giorni nostri”.
Mentre nel Medioevo, ci racconta Ariès, la morte era considerata un evento familiare e il trapasso avveniva di solito nel proprio letto, senza “isterismi” collettivi e senza creare alcun imbarazzo né tra i familiari, né nella comunità a cui il defunto apparteneva, a partire dal XIX secolo la morte diventa un evento da negare. Il malato, giunto al termine dei suoi giorni, non deve essere visto (se non dagli stretti parenti) e il decesso non avviene più tra le note mura di casa, ma tra quelle fredde e anonime di un ospedale.
Fino all’ultimo respiro medici e parenti fingono che ci sia speranza e che il moribondo non debba mai esalare l’ultimo respiro.
Anche il lutto, che in passato implicava non solo il vestito nero ma anche la copertura degli specchi e delle finestre, e poteva durare anni, è stato abolito: la morte è diventata fonte di imbarazzo e il dolore non deve essere esibito. Le condoglianze si fanno in modo veloce e tenendo gli occhi bassi.
Si passa subito ad altro: la vita scorre veloce e ci sono mille cose da fare!
Se Ariès parla di morte nascosta, occorre però riflettere sul fatto che anche la morte spettacolarizzata, per quanto apparentemente diversa, assolve al medesimo compito: negare il lutto, il dolore, la paura e il mistero che questo evento, l’unico di cui ogni essere vivente possa essere certo, porta con sé.
E così, nascosta o trasformata in evento, la morte viene privata del suo vero significato e le persone in lutto vengono lasciate sole con il loro dolore, che non può neanche essere raccontato, perché in questa luccicante società del benessere tutti dobbiamo produrre e essere felici.
Eppure pare che lo stesso Pippo Baudo, poco prima di morire, abbia confidato al suo padre spirituale, Giulio Albanese, “che il successo (e lui, come sapete, ne ha avuto tanto) non basta a riempire il cuore. Il successo non basta a rendere felici! Questa è una parola di verità che risuona in sintonia con il Vangelo”.
Come dimenticare poi le parole di Steve Jobs, fondatore e amministratore della Apple, morto il 5 ottobre del 2011 a soli 56 anni a causa di un tumore al pancreas. Pur essendo un uomo di successo tra i più ricchi del mondo, sul letto di morte, Jobs pare abbia pronunciato queste parole: “Ho raggiunto il massimo del successo nel mondo degli affari. Negli occhi degli altri la mia vita è un successo. Tuttavia, a parte il lavoro, ho avuto poca gioia. Alla fine, la ricchezza è solo un fatto a cui mi sono abituato. In questo momento, sdraiato sul mio letto d’ospedale, ricordandomi tutta la vita, mi rendo conto che tutta la riconoscenza e la ricchezza sono diventate insignificanti di fronte alla morte imminente. Puoi usare qualcuno per guidare la tua auto o guadagnare per te ma non è possibile assumere qualcuno per sopportare la malattia e morire per te. Le cose materiali perse si possono trovare. Ma c’è una cosa che non può mai essere trovata quando è persa: la vita. Qualunque sia la tappa della vita che stiamo vivendo, col tempo, ci troveremo di fronte al giorno in cui si chiude il sipario. Ama la tua famiglia, il tuo coniuge e gli amici… Trattali bene. Abbracciali”.
Per questo lo psicoanalista Massimo Recalcati, nel suo saggio del 2022 “La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e psicoanalisi”, ci invita a ripensare il tema della morte e del lutto; non solo perché la morte è la conclusione inevitabile della vita, ma anche perché un lutto negato e non rielaborato si cronicizza in una malinconia che non ci permette di superare davvero il trauma e di andare avanti con la nostra vita.
Il titolo del saggio di Recalcati è estremamente suggestivo: allude al fatto che la luce delle stelle che ammiriamo dalla terra di fatto appartiene a stelle che non ci sono più, che sono già “morte”; ciò nonostante quelle luci illuminano i nostri cieli e ancora, a volte, guidano i naviganti.
Per questo, afferma Recalcati, il ricordo delle persone care che ci hanno lasciato per sempre dovrebbe essere per noi una luce e un faro che continua a illuminare e a plasmare la nostra esistenza con gli strumenti del ricordo e della gratitudine.
Bisognerebbe quindi tornare a considerare la morte come la conclusione naturale di ogni esistenza, senza rimozioni o spettacoli di alcun genere, cercando di superare e elaborare il lutto e di mantenere viva la persona che non è più con noi nell’intimità del nostro cuore.