C’era una volta la vita vissuta…

Tanto tempo fa, in un regno lontano lontano, esistevano le lettere d’amore, quelle con la bella grafia, le parole forbite e ben calibrate, fatte da fogli di pergamena, papiro o cellulosa. Se eri bravo creavi anche dei disegni che sarebbero rimasti per secoli a testimoniare i tuoi concetti! Un giorno, però, arrivarono i social che, come un tornado, hanno cancellato tutto ciò sostituendolo con: font precostituiti, impigrimento e involgarimento lessicale, disinformazione e lasciato il posto ai cuoricini digitali. Ogni messaggio su WhatsApp, ogni storia su Instagram grida al mondo il nostro sentimento, come se il cuore dovesse urlare per esistere davvero… Ma quando il feed si spegne, resta qualcosa di autentico o soltanto il vuoto di un like in meno?
In questo baluginio di post incastonati in cornici patinate, la vera rivoluzione silenziosa – il gesto lento di aprire un libro, sfogliare un giornale – viene giudicato ingombrante. L’immediatezza di un like sacrifica il pensiero critico, così come l’urgenza del feed soffoca il respiro meditativo delle pagine stampate. Le edicole, un tempo scrigni di punti di vista e curiosità assortite, si chiudono una dopo l’altra, mentre le librerie socchiudono le porte lasciando spazio a scaffali vuoti e a un’eco di storie non più raccontate.
Questo vuoto fisico riflette un vuoto culturale: siamo diventati artigiani dell’istantaneo e scordiamo che la conoscenza matura solo nel tempo dell’attenzione prolungata. Ogni “storia” che scivola via, dopo uno sterile scroll ci sottrae un’occasione di sollecitare la mente, di confrontarci con la complessità nascosta dietro ogni frase, dietro ogni reportage. Il risultato è un paesaggio editoriale in declino, un crogiolo di pensiero che si raffredda senza il calore autentico di un confronto, solo l’imposizione di freddi concetti mainstream e politically correct la fa da padrone, senza varietà critica, senza pareri autentici. Lo stesso panorama social viene “scremato” in social da contenuto e social aesthetic con la predilezione di maggioranza della seconda tipologia a discapito della prima.
Ecco perché questa società delle finte apparenze positive rischia di perdere il contatto con la propria profondità. Quando la cronaca diventa un’immagine effimera e il sapere un frammento nozionistico da sfoggiare solo in ambito accademico, la crisi delle librerie e delle edicole non è soltanto economica: è la prova che abbiamo rinunciato al piacere di fermarci, di lasciarci interrogare dalle parole scritte, di nutrire un dialogo con noi stessi e i mondi scritti (nonché vissuti) degli altri e che si costruisce pagina dopo pagina anziché con uno scroll involontario.
In questa strana favola distopica, una voce proveniente dal mondo della letteratura contemporanea, un menestrello della parola e sperimentalista dell’assurdo, un certo Andrea Camilleri ci avverte sul pericolo dell’inerzia culturale e dell’omologazione digitale: “All’interno di un ordine costituito colui che fa cultura è sempre imprevedibile, può risultare pericoloso. La nostra società è stata per sempre ferma, una società dove, come dice il Principe di Salina nel Gattopardo, “deve cambiare tutto per non cambiare niente”. Solo negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, ma veramente, senza avere l’aria del cambiamento.” (Fonte cit.: vigata.org; Il Secolo XIX 31.07.2001, Noi siciliani razza bastarda)
I social sono la piazza dell’era digitale: chiacchiere in pubblico, selfie di coppia, dichiarazioni istantanee, giudizi, critiche e violenza verbale gratuita. Quanti “utenti” pensano di conoscere l’altro se non per ciò che mostra o NON mostra? Condividere emozioni è bello, ma quanta di quella felicità è costruita per la vetrina? Ci specchiamo nei click degli altri, modelliamo l’amore su un ideale di perfezione che vive solo nello schermo.
La comparazione sociale è la trappola invisibile: più scrolliamo, più ci sentiamo in difetto. Postare all’infinito è un segnale di un bisogno antico di approvazione che si veste di emoticon. Se si è davvero felici, lo smartphone resta in tasca e il cuore batte senza testimoni.
E se si provasse a mettere offline la nostra vita? A scrivere su carta, a sussurrare ad un orecchio, a godere della bellezza che non chiede conferme? Forse la storia avrebbe il suo lieto fine? Perchè l’amore più grande non chiede mi piace, ma respira silenzioso nel cuore.