L'Opinione

Il business della felicità

Essere felici: questo è l’obiettivo! La felicità è lo scopo dell’esistenza di tutti gli esseri umani del globo in particolare nelle società capitalistiche avanzate. Il tema della felicità è onnipresente sui social, nella psicologia e nei dibattiti attuali di filosofi ed economisti.

Il concetto della felicità ha subito una notevole trasformazione nel corso degli ultimi tre secoli a partire dalle riflessioni dei filosofi illuministi scozzesi. Nella Scienza della legislazione, il filosofo Gaetano Filangieri ha dedicato pagine eccelse all’argomento. Molte sue idee sono state trasferite da Benjamin Franklin nella Costituzione degli Stati Uniti d’America che riconoscono un vero e proprio diritto individuale alla felicità. Un’analoga previsione è stata inserita nella Costituzione repubblicana dei Giacobini del 1793. In tempi più recenti, Ho Chi Minh, padre del Vietnam, ha applicato il diritto alla felicità ai popoli, elevandolo da diritto individuale presente nelle Costituzioni a principio di diritto internazionale. E l’Assemblea Generale dell’ONU lo ha recepito con una risoluzione nel 2012, istituendo la Giornata della felicità che si celebra il 20 marzo di ogni anno.

Con l’inizio del terzo millennio, la felicità, però, è diventata anche un vero e proprio business. Psicologi, life coach, guru, intellettuali promettono il raggiungimento della felicità che viene intesa ora come benessere fisico-psichico, come successo economico, come conquiste nell’ambito della sessualità.

Secondo Edgar Cabanas e Eva Luiz, autori di Happycracy. Come la scienza della felicità controlla le nostre vite,  “la ricerca di una felicità idealizzata è ormai onnipresente nella nostra vita quotidiana. La felicità è ovunque: in televisione e alla radio, al cinema e sulle riviste, in palestra, nelle diete e nei consigli per l’alimentazione, negli ospedali, in ufficio e in guerra, a scuola, all’università, nella tecnologia, sul web, nello sport, a casa, nella politica e, ovviamente, sugli scaffali dei supermercati. La felicità permea l’immaginario comune, sta diventando un assillo, ed è raro che passi un giorno senza sentirne parlare o senza leggerne da qualche parte.

Inoltre, sostengono che “la ricerca della felicità è uno dei “prodotti di esportazione” più tipici degli Stati Uniti, nonché uno dei principali obiettivi politici, diffuso e promosso tramite una vasta gamma di attori non politici, fra cui life coach, esperti di auto aiuto, imprenditori, organizzazioni e fondazioni private, industria cinematografica, talk show, celebrità e, ovviamente, psicologi. Nonostante ciò, è soltanto in tempi recenti che la ricerca della felicità ha smesso di essere il traguardo politico degli USA ed è diventata un’industria globale multimilionaria che opera con la complicità della ricerca scientifica.”.

Uno degli eroi del business della felicità è soprattutto Chris Gardner che Will Smith ha reso celebre nel film intitolato La ricerca della felicità uscito nelle sale nel 2006.

La realtà conferma quanto affermato da questi due autori. Nelle aziende si chiamano esperti per motivare i dipendenti. Tony Robbins esalta i propri successi ottenuti presso grandi imprese e vanta tra i suoi clienti anche numerosi politici come Bill Clinton e Michail Gorbacev. Il campione del tennis Jannik Sinner ha avuto come life coach Simone Vagnozzi che ha mollato per farsi assistere da Darren Cahill. Il campione Marcell Jacobs si è rivolto a Nicoletta Romanazzi.

Costantemente vengono lanciati due messaggi: da un lato, si induce a pensare che il successo sia il frutto solo delle capacità dell’individuo che riesce a vincere le sfide competitive del mercato, dall’altro, una folta schiera di guru offre corsi, libri, terapie e servizi di coaching e counselling per realizzare la felicità. Per fare soldi, parlare bene in pubblico, avere successo in campo sessuale ed economico, ci vogliono degli esperti.

Edgar Cabanas e Eva Luiz mettono in guardia il lettore da questo fenomeno e lo analizzano criticamente sotto varie prospettive.

Sembra che l’incarnazione dell’uomo post-moderno sia il rappresentante o l’imprenditore palestrato e vestito con abiti firmati dalla testa ai piedi. È uno strano tipo che eccelle negli affari e ha successo con le donne attraverso un business accattivante come il collocamento di prodotti finanziari o il commercio di gioielli. Sembra che l’incarnazione della donna post-moderna sia quella della donna in carriera con studio mega-galattica nel centro della città, diete da fame per essere simili a super-modelle, botulino, e l’esercizio costante della più rapace e aggressiva menzogna. Sembra che sin dalla più tenera età, tutti debbano essere coinvolti in questo processo di trasformazione, tanto che sulla bocca di giovanissimi compaiono parole come fama e successo. Il politico abbandona le faticose e complicate ideologie del XX secolo, per darsi ad una politica di briefing ed happening, ad un costante marketing politico.Nella società attuale dello spettacolo e degli schermi piatti, nel mondo piatto della globalizzazione, questi sono i modelli vincenti. Per i perdenti non c’è nulla da fare: solo uscire fuori dal mercato del lavoro, subire il furto del proprio lavoro da un altro che brilla solo per stronzaggine e cattiveria, finire in miseria per debiti, essere tacciati per pericolosi comunisti in campo politico.

Nella Happycracy imperante c’è uno strisciante darwinismo sociale ricoperto da una patina di ipocrisia e fariseismo.

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