L'Intervista

Fabrizio Messina, l’orgoglio della cucina siciliana

“Sono orgoglioso di aver realizzato un sogno che da tempo inseguivo e soprattutto di averlo fatto nella mia terra, dove anche se non vi sono nato sento di appartenere in maniera totale”. Lo dice Fabrizio Messina parlando di sé e di ciò che ha realizzato nel corso degli anni. Honorè De Balzac diceva che “la perfezione sta nei particolari” ed è questa la forza di Fabrizio. Nato da genitori siciliani a Città del Capo, in Sudafrica. “Sono siculo – spiega Fabrizio – cresciuto in una famiglia sicula ma al suo interno si parlavano tante lingue, non ricca ma nella quale ho vissuto una bellissima infanzia. Sono stato sempre ambizioso, avevo fame molta fame e a 18 anni, inseguendo un sogno, ho preso una nave che mi ha portato a New York. Un sogno che presto si trasforma in un incubo. Trovo lavoro ma sono costretto a vivere in un alloggio di fortuna, una topaia. Scappo dopo tre mesi e vado a Los Angeles, lì comincia il mio vero sogno americano”. “Lavoravo tanto, tantissimo: cominciavo la mattina con le pulizie nei bagni delle palestre, poi facevo consegne, barman di sera. Poi comincio a lavorare in un ristorante molto importante. Imparo tante cose”. È la svolta? “Non quella definitiva ma è certamente un crocevia importante. Ho 21 anni e decido di mettere in pratica quello che ho imparato aprendo un ristorante mio. Va benissimo. Nel frattempo conosco una ragazza che diventa la mia prima moglie. Apro un secondo ristorante e purtroppo le cose non vanno bene. Lo vendo e nel farlo conosco una persona che possiede una catena di alberghi a vado a lavorare con lui come consulente food. Un altro passaggio fondamentale. Vendo il primo ristorante, divorzio, e parto alla volta della Germania dove apro un ristorante di alta faccia a Berlino Est. Mi specializzo nelle mansioni di chef e vivo quattro anni meravigliosi in Germania. Poi vado via”. Ambizione o irrequietezza? “Nessuno delle due, forse, ma la mia seconda moglie era giapponese e doveva rientrare in patria ed io l’ho seguita. Apro un piccolo ristorante a Tokyo. Il Giappone è un’esperienza straordinaria, bellissimo nel periodo della fioritura primaverile, ma lo scontro con una cultura culinaria forte è difficile. I giapponesi sono scettici. Il Giappone non è fatto affinché gli stranieri possano facilmente vivere e ambientarsi. Anche mia mogie era cambiata, era tornata fortemente ad essere una donna nipponica, diversa da quella che avevo conosciuto in Europa. Non poteva più andar bene nulla: vendo il ristorante e divorzio”. Si torna a Casa. “Si vado a Palermo e quasi per gioco nasce un nuovo ristorante, frutto e somma delle tante esperienze vissute. La cucina siciliana, se ben raccontata, è la migliore del mondo perché tende a rispettare e valorizzare ogni singolo ingrediente, ad esaltare i profumi, gli odori. Adesso la maggior parte che cuochi non cucina ma assembla. Invece c’è un intero processo di preparazione che deve essere condotto con cura affinché il prodotto finale abbia un senso. Quindi, una cucina che rispetta, una cucina che rievoca, partendo da prodotti di qualità”. E tutto questo viene costantemente applicato nel ristorante di via Maqueda a Palermo (Sud Antica Forneria Siciliana). “Si, senza dubbio, e non solo: il cibo di qualità crea unione. Venire da noi è come trovarsi a casa, perché in quello che facciamo vi ho riversato tutta la mia fanciullezza felice”.

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