L'Intervista

Francesca Cavallaro: “Le mie sculture parlano con lo sguardo” 

Intervista a Francesca Cavallaro scultrice in ceramica che dà forma alle emozioni.

Nel silenzio della materia prende vita un mondo fatto di emozioni, espressioni, umanità. È questo l’universo di Francesca Cavallaro , scultrice in ceramica che attraverso le sue opere racconta stati d’animo, pensieri sospesi e fragilità profondamente umane.

Cosa ti ha portato verso la ceramica?

Ho sempre avuto un forte bisogno di esprimere emozioni. La ceramica è arrivata quasi per caso, ma da subito ho capito che era il mio linguaggio. Lavorare con la terra è qualcosa di viscerale: è viva, si trasforma, richiede ascolto. Ho iniziato in piccoli laboratori, poi ho proseguito con studi più approfonditi, cercando fin da subito una mia voce personale.

Com’è il tuo processo creativo?

Tutto parte da un’emozione, da un’immagine mentale. Non disegno prima, è l’argilla stessa a guidarmi. Le espressioni dei volti, sono questi i canali principali attraverso cui cerco di comunicare. Le mie creazioni devono trasmettere qualcosa, parlare ed emozionare , anche nel silenzio.

Come scegli i materiali e le tecniche?

Lavoro con l’argilla bianca che restituisce il gesto, che conserva le tracce del fare. Prediligo colori e finiture che esaltino la superficie. Ogni scelta tecnica è funzionale ad un’esigenza espressiva: l’estetica per me nasce sempre dal significato.

Cosa raccontano le tue sculture?

Ogni opera è una piccola narrazione emotiva. Tratto temi legati all’interiorità, al sentire, all’attesa, alla fragilità. Le mie figure non raccontano storie precise, ma evocano stati d’animo. Voglio che chi osserva possa riconoscersi, ritrovare un frammento di sé in uno sguardo o in una piega della bocca.

Quanto è complesso il lavoro sulla ceramica, dalla progettazione alla realizzazione?

È un processo lungo e delicato. Dal bozzetto iniziale alla modellazione, fino alle varie fasi di essiccazione, cottura, finitura…ogni passaggio richiede attenzione. La sfida più grande è mantenere viva l’espressività fino alla fine, rispettando tempi e limiti del materiale.

Quali difficoltà incontri più spesso?

La fragilità del materiale ed anche la sua imprevedibilità. A volte ciò che avevo immaginato si modifica durante la stessa asciugatura o cottura. È un equilibrio costante tra controllo e accettazione dell’imprevisto. Ma proprio da questo può nascere qualcosa di unico.

La natura entra nel tuo lavoro?

Sì, anche se non in modo diretto . La natura è presente come atmosfera, come tempo lento, come materia stessa. A volte uso elementi naturali per creare texture , altre volte è la terra stessa – in senso letterale e concettuale – a portare il suo messaggio.

Che ruolo ha la sperimentazione nella tua pratica?

Fondamentale. Mi piace mettermi alla prova con nuove tecniche, finiture e materiali. Ma anche sul piano emotivo: cerco sempre nuove sfumature da raccontare. La sperimentazione mi aiuta a non fossilizzarmi e ad evolvermi.

Come gestisci la fragilità della ceramica, soprattutto in esposizione?

Con rispetto e attenzione. Lavoro molto anche sulla presentazione delle opere, perché voglio che possano essere osservate da vicino, percepite nella loro dimensione emotiva, ma senza compromettere la loro integrità.

Dove trovi ispirazione?

Ovunque ci sia emozione autentica. Nei volti delle persone, nei gesti quotidiani, nella musica, nei silenzi, nei tramonti. Ogni cosa che riesce a toccarmi può diventare punto di partenza per una nuova scultura.

Come definiresti il tuo stile?

Intimo, essenziale, introspettivo. Non cerco la perfezione, ma la verità. Le mie figure sono sospese, a volte immaginarie, ma sempre profondamente umane. Mi interessa la bellezza che commuove, non quella che stupisce.

E il rapporto tra forma e funzione?

Le mie opere hanno anche una funzione d’uso oltre che una funzione emotiva: la forma serve a raccontare, a decorare e ad essere anche funzionale. Così nascono anche come vasi per fiori o lampade d’arredo.

La materia dialoga con lo spazio?

Sì, lo spazio completa il lavoro. Mi piace che le sculture sembrino avere una direzione dello sguardo, una presenza viva nell’ambiente in cui si trovano.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sto lavorando a una nuova serie sul tema del silenzio, dell’attesa. Vorrei portare il mio lavoro anche all’estero, in contesti dove l’arte ceramica venga vista come linguaggio contemporaneo. Mi interessa anche collaborare con altri artisti e sperimentare nuove prospettive.

Cosa speri che il pubblico porti via dalle tue opere?

Spero che si fermi. Che si lasci toccare l’anima. Vorrei che le mie sculture fossero sentite più che spiegate, che lasciassero una traccia, anche piccola ma vera. Mi piacerebbe che venissero percepite come presenze capaci di ascoltare e rispecchiare chi le guarda.

Articoli correlati

Back to top button