San Giovanni Decollato, un intramontabile Martoglio al Cortile Platamone

In scena al Palazzo Platamone uno dei capolavori di Nino Martoglio: San Giovanni decollato. Protagonista: Miro Magistro. Interpreti: Carmela Buffa Calleo, Claudio Musumeci, Turi Giordano, Cosimo Coltraro, Lorenza Denaro, Elisabetta Alma, Lucia Portale, Raniela Ragonese, Francesco Rizzo, Ugo Valle, Roberto Fuzio.
Regia di Giuseppe Romani. Scene e costumi: Vincenzo La Mendola.
Produzione: Teatro Stabile di Catania e Teatro della Città/Centro di produzione teatrale.
San Giovanni decollato, mai uscita dal repertorio tradizionale, oltre ad essere una commedia di successo scritta da Martoglio per Angelo Musco con la sua compagnia teatrale (ripresa nel 1940 da un film con Totò) e ambientata alla ‘Civita’ della Catania, quella che fu all’inizio del Novecento, apre la strada a ben più profonde considerazioni sul piano storico e sociale, anche intrecciate alla vita dello stesso autore.
In primo luogo consideriamo che Martoglio, nasceva a Belpasso nel 1870 da un avvocato ex garibaldino e giornalista, Luigi, e da una maestra elementare Vincenza Zappalà Aradas. Una famiglia borghese e istruita dunque era il brodo di coltura in cui si formava il giovane Nino che ben presto volle entrare nella redazione della Gazzetta di Catania, fondata dal padre.
Non ancora ventenne creava un proprio giornale, il settimanale satirico D’Artagnan (1889 – 1904) in cui dava voce ai poveri della sottoproletaria Civita e alle sue istanze socialiste: “Il socialismu porta tanti vantaggi… prima di tuttu il vantaggio della fratellanza tra tutti ‘i suggialísti, che formano una famiglia…ti pari giustu, mintemu, ca nt’o munnu, ci divi essíri ‘u riccu ca non travagghia, e ‘u puureddu, ca ietta sangu d’a taula d’u pettu?”.
Nel 1902 Martoglio era stato eletto consigliere comunale nella lista dei ‘popolari’; nel 1904 – entrato in urto con i socialisti catanesi – si trasferì a Roma.
Si dedicherà in seguito alle sue compagnie teatrali, alle commedie, alle novelle, ai versi, e anche al cinema nel secondo decennio del Novecento, mettendo sempre in scena un’agile satira, anche se in chiave comica, dietro cui emergono le sue idee nell’interpretazione -tra fede paganesimo e istanze sociali- del popolino.
E questo fino all’incidente del 1921, alla misteriosa morte che lo colse prematuramente a 51 anni.
Non dimentichiamo che quelli erano gli anni di Giuseppe De Felice Giuffrida (1859-1920), il glorioso, anche se controverso, politico catanese fondatore del fascio siciliano dei lavoratori nel 1891, deputato per i ‘popolari’ l’anno dopo, prosindaco di Catania dal 1902 al 1906 (nel 1904 creò i forni comunali) e dal 1912 al 1914 (anno in cui fu presidente della Provincia).
Rieletto alla camera vi sedette dalla XVIII alla XXV legislatura: “U nostru patri” dei catanesi infiammati dai suoi comizi.
Martoglio respirava quell’atmosfera, tra provincialismo, perbenismo borghese ed emancipazione, e la tramutava in arte.
Anche il tema della pièce, la superstiziosa devozione a S. Giovanni decollato, invocato da ‘mastru Austino’ per ottenere grazie non certo edificanti (il mutismo della moglie collerica e litigiosa), ma soprattutto la libertà della donna di fare le sue scelte in amore, l’ira del padre /padrone di fronte alla ‘fuitina’ della figlia, con conseguente perdita dell’onore che per la donna è legato unicamente alla verginità, affonda le sue radici storico sociali giungendo al lontano medioevo.
L’onore sessuale femminile è un tormentone in una società di antico regime in cui l’unica certezza della paternità è legata alla verginità delle fanciulle e alla fedeltà delle mogli; l’onore perduto e recuperato con il sangue o con il matrimonio riparatore è presente nella legislazione da Federico II e ancora in seguito: basti pensare alla Baronessa di Carini e alle tante vittime sepolte nell’oblio.
Ancora in età borbonica le leggi ‘illuminate’ De Raptu virginum e De stupro obbligano l’uomo al matrimonio riparatore o ad un semplice indennizzo in denaro, ma rimangono molto severe nei confronti delle donne sempre sospettate di essere furbe ingannatrici, pronte a irretire ‘giovani dabbene’.
In questo panorama la donna è un oggetto passivo, se non ‘colpevole’.
Questo fino agli anni Sessanta del Novecento quando al boom economico seguirà il liberatorio Sessantotto.
In tale contesto, nel 1961 esce il film “Divorzio all’italiana”, di Pietro Germi che punta l’accento sul delitto d’onore (art. 587 del codice penale).
Nel 1964 con un altro film, “Sedotta e abbandonata”, il regista analizza l’ipocrisia del grottesco senso dell’onore.
Il 1965 è l’anno del caso di Franca Viola che rifiuta il matrimonio riparatore con Filippo Melodia, il fidanzato che l’aveva rapita, violentata e segregata. Melodia venne incarcerato e Franca sarebbe stata insignita nel 2014 dell’onorificenza di ‘Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana’.
La sua vicenda avrebbe ispirato, nel 1970, il film “La moglie più bella” di Damiano Damiani.
Già nel 1964 a Catania un maestro di Piazza Armerina aveva ucciso in un’aula universitaria, con parecchi colpi di pistola Francesco Speranza ‘colpevole’ di avere sedotto la figlia Maria Catena Furnari, allieva del suddetto docente.
Filippo Furnari fu assolto e acclamato dai suoi compaesani.
Fu l’ultimo delitto d’onore, reato che venne abrogato con la legge 442, promulgata il 5 agosto 1981, a sedici anni di distanza dal rapimento della Viola.
Solamente nel 1996 lo stupro da reato «contro la morale» sarà riconosciuto in Italia come un reato «contro la persona».
Ma quasi un secolo prima Martoglio si mostrava sensibile a queste problematiche tanto da puntare il dito contro l’atavico concetto di onore e dare spazio alla libera scelta della donna in una società certamente non ancora pronta ad accettare tali aperture.
Il cast sulla scena vede al centro il grande Miko Magistro insieme a tutta la compagnia. Scene e costumi sono firmati da Vincenzo La Mendola. Il regista Giuseppe Romani, conduce, tra esilaranti battute, la trama con ritmo e sapienza drammaturgica straordinarie sino allo ‘scontato’, ma sempre piacevolmente classico, lieto fine.