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Oggi inizia il Solstizio d’estate

Oggi, 21 giugno 2023, è iniziato il Solstizio d’estate. Ci avviciniamo alla notte del 23, la notte della vigilia di San Giovanni, secondo la tradizione la notte più breve dell’anno. La notte precedente al giorno che gli inglesi chiamano Midsummer Day (giorno di mezz’estate), cioè il 24 giugno. Una festa che affonda le sue radici nei primordi della civiltà europea e che, scrive James Frazer nel suo “Il ramo d’oro”, avveniva «la vigilia di mezz’estate (il 23 giugno) o a mezz’estate (il 24 giugno). Chiamando i fuochi di mezz’estate con il nome di San Giovanni Battista gli si è data una leggera tinta cristiana, ma non possiamo dubitare che la loro celebrazione dati da molto tempo prima dell’era nostra. Il solstizio d’estate, o giorno di mezz’estate, è il punto culminante del viaggio del sole, quando dopo essere salito ogni giorno più in alto nel cielo il gran luminare si ferma e d’allora ritorna sui suoi passi giù per la strada celeste».

Cosa ci dice la storia, anzi l’archeologica? Visto che documenti scritti di quell’epoca non c’è n’è ed i celti continuarono a non scrivere nulla fino ai tempi di Giulio Cesare?

Ma andiamo per ordine.

In giugno, a Dio piacendo, il grano matura. I rami delle viti cominciano ad appesantirsi. Il bestiame sale alle malghe alte. La fienagione è nel suo pieno. maggio è ormai alle spalle ma in tutta l’Europa, specie in quella del nord, non diminuisce il timore che qualche calamità atmosferica possa, da un momento all’altro, distruggere il raccolto. Le streghe sono sempre all’erta e ogni tanto qualche demone sospinge per il cielo cumuli neri e allora succede, ad esempio, che i contadini scozzesi mangino aglio e soffino con forza verso il cielo affinché il suo fetore metta in fuga l’indesiderato individuo e capita che quelli abruzzesi mettano sulla porta un coltello o una falce con la punta rivolta all’insù per fargli paura.

Ma giugno ha il suo potentissimo “scacciamalanni: San Giovanni Battista.

“Il sole che fa la sua sosta/ soprannaturale esalta/ subito ridiscende/ incandescente./ Sento come alle vertebre/tutte in un solo brivido/ all’unisono/ e la mia testa in alto/ vedetta solitaria/ nei voli trionfali/ di quella falce/ come rottura franca/ meglio respinge e taglia/ l’antico disaccordo/ col corpo”. Scrive Stephane Mallarmè nel suo “Cantico di San Giovanni”.

E Gabriele D’Annunzio, nel suo romanzo “La figlia di Iorio” fa dire alla protagonista Ornella che basta andare in cima alla Plaia perché dentro il sole, il 24 giugno, si veda la testa mozzata del santo. E il pastore Aligi per farsi perdonare da Mila le regala “I fioretti di San Giovanni”. E lo stesso Aligi dice ai mietitori di Norcia: «Il ciel vi aiuti/ e vi cresca alla mano le mannelle./ E San Giovanni Battista Decollato/ vi mostri il capo nel Sol levante/ se questa notte andate alla Plaia». Di fatto, questa è una benedizione.

Il culto di San Giovanni è quindi strettamente connesso al quello del Sole e per di più al Solstizio d’Estate.

Nella festa di San Giovanni convergono i riti indoeuropei e celtici esaltanti i poteri della luce e del fuoco, delle acque e della terra feconda di erbe, di messi e di fiori. Questo giorno era considerato sacro nelle tradizioni precristiane ed ancora oggi viene celebrato dalla religiosità popolare con una festa, quando nel calendario liturgico della Chiesa latina si ricorda appunto la natività del Battista. Unico santo celebrato nel giorno della sua nascita e non della sua morte.

Torniamo indietro di migliaia di anni, immergendoci nelle nebbie del tempo, ai primordi della storia d’Europa. L’ultima glaciazione è ormai finita ed i ghiacci si sono ritirati lasciando libera la pianura e le grandi foreste sono state veloci nel crescere. Il continente è quasi deserto. Gli uomini di Neanderthal si sono estinti da poco e ci sono solo poche tribù di pigmei che con l’arrivo della nuova gente si nasconderanno nel più fitto delle foreste fornendo così le basi storiche dei racconti di folletti.

Secondo alcuni, partendo dalle steppe iraniane, quasi al confine con l’attuale Afghanistan, secondo altri dalle regioni vicine al Caucaso, una grande tribù di gente di razza indoeuropea, gli Arii, cominciarono a muoversi seguendo direttive diverse.

Un gruppo andrà verso sud, verso l’India, fondando le città di Mohenjo Daro e Harappa e creando la civiltà vedica. Ancora oggi esistono in India varie associazioni di “fratellanza aria” che portò, nel grande delirio del secolo scorso, diversi indiani ad arruolarsi tra le SS di Adolf Hitler.

Un secondo gruppo, composto anche’esso da decine di migliaia di individui, attraversa le steppe delle Russia e dell’Ucraina insediandosi nel centro dell’Europa, creando le civiltà di Hallstatt e La Tene: Costoro verranno identificati dai greci, dai primi greci: gli achei, con il termine keltoi, cioè celti. Dall’Europa centrale grossi gruppi di celti si spinsero ancora più a ovest raggiungendo prima la Francia e poi le isole britanniche fino ai confini del mondo conosciuto allora. Ma molti andarono a sud e intorno al 1.200 avanti Cristo probabilmente fecero la loro apparizione in Sicilia, i Siculi che giunsero alle isole Eolie, e in Grecia, i Dori che travolsero gli Achei, che avevano da pochi anni distrutto Troia.

«I Dori, al loro apparire nella storia furono un flagello. Distrussero tutto quello che c’era di civilizzato sul loro cammino. Furono essi che misero fine alla civiltà micenea dei loro confratelli Achei. E, per secoli, nel Mediterraneo occidentale non si sentirà parlare di civiltà».

Ma anche gli italici appartenevano a quella stessa nazione. Ecco spiegato perché i greci, che consideravano barbaro perfino l’imperatore persiano, accolsero come loro pari il re dei Siculi Ducezio. Ecco perché i Galli decisero di allearsi con Giulio Cesare e non con i Germani di Ariovisto.

La somiglianza, poi, dei miti siciliani con quelli irlandesi è impressionante. Le due isole, ad esempio, si contendono l’ubicazione dell’entrata nel Purgatorio. Essa si troverebbe sull’Etna, dove in una sua grotta riposerebbe anche Re Artù.

Gervasio di Tilbury scrive tra il XII e il XIII secolo nel suo “Libro delle Meraviglie”: «Vi è in Sicilia una montagna, l’Etna, ardente di fuoco sulfureo, vicino alla città di Catania… , egli abitanti della regione raccontano che, sui suoi fianchi è apparso il grande Artù».

I Celti, dunque, sono meno nordici di quello che sembrano. Forse dopo oltre 3000 anni lo sono diventati ma agli albori del loro arrivo in Europa non lo erano ancora molto. Erano un popolo del deserto e della steppa, un popolo abituato a vivere sotto il sole. La “croce celtica” è un simbolo prettamente solare di cui, purtroppo, in questi ultimi anni se n’è fatto un uso politico assolutamente improprio.

L’impatto con il buoi del nord, con il cielo spesso plumbeo e con l’oscurità delle grandi foreste, dovette acuire il desiderio di sole. Ecco perché l’importanza del solstizio, ecco perché la forza di questa celebrazione. Non solo si ringraziava l’astro che diveniva divinità e che quindi proteggeva dal male ma si immagazzinava l’energia per i mesi oscuri.

Il 24 giugno il sole, che ha appena superato il punto del solstizio, comincia a decrescere, sia pure impercettibilmente, sull’orizzonte: da quel momento in poi comincia a calare, per dissolversi, al fine della sua corsa verso il basso, nelle brume invernali. Sarà all’altro solstizio, quello invernale, che in realtà l’inverno, raggiunta la più lunga delle sue notti, comincerà a decrescere, per lasciar posto all’estate.

Nella notte della vigilia di San Giovanni, la notte più breve dell’anno, in tutte le campagne del Nord Europa l’attesa del sorgere del sole era e è ancora propiziata dai falò accesi sulle colline e sui monti, poiché da sempre, con il fuoco, si mettono in fuga le tenebre con le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi: le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell’aria scura promesse d’amore e di fortuna, il Male si dissolveva sconfitto. Nella veglia, tra la notte e l’alba, i fiori bagnati di rugiada brillavano come segnali; allo spuntar del sole si sceglievano e raccoglievano in mazzi per essere benedetti in chiesa dal sacerdote. Bagnarsi nella rugiada o lavarsene almeno gli occhi al ritorno della luce era per i fedeli cristiani un gesto di purificazione prima di partecipare ai riti in chiesa.

Il popolo, quindi, raccoglieva tutte le energie positive che la natura metteva a loro disposizione e li metteva da parte per quando sarebbe arrivata l’oscurità.

La festa del Solstizio d’estate rappresenta il Sole in tutta la sua gloria. E’ la celebrazione della passione e l’assicurazione del successo del raccolto

Si dice che il piccolo popolo, gli elfi e le fate, possano essere visti con più facilità nella notte del solstizio, perché il velo tra i mondi è più sottile. Siamo quindi avvisati e ammoniti di fare attenzione quando camminiamo in questa notte nelle nebbie dei boschi, potremmo finire nella terra delle fate e perderci per molto più tempo di quanto crediamo!

Il “buon popolo” ha forme e dimensioni diverse e sembra poter assumere tutti gli aspetti materiali che desidera ed ha tre grandi celebrazioni durante l’anno: May Eve, Midsummer Eve, November Eve. Alla May Eve, che cade il 1° maggio e segna l’inizio dell’estate nel calendario celtico, combattono dappertutto alla conquista dei raccolti, perché le più belle spighe di grano sono le loro.

Secondo la testimonianza del poeta irlandese William Butler Yeats, un contadino le aveva viste darsi battaglia fino a far ruzzolare giù da una casa il tetto di paglia. Un profano avrebbe visto solo il vento far mulinare per aria foglie e paglia, ma quando ciò accade il popolo contadino si toglie il cappello e dice: “Dio li benedica”, perché è il buon popolo che in quel momento passa al Midsummer Eve, o solstizio d’estate, quando i falò vengono accesi sulle colline, il buon popolo è nel suo umore migliore e spesso rapisce bellissime fanciulle per farne sue spose.

Nell’antichità i due solstizi erano chiamati “porte”: quello d’inverno “porta degli dei”, quello d’estate “porta degli uomini”. Nell’Odissea Omero descriveva il misterioso antro dell’isola di Itaca nel quale si aprivano due porte: «l’una volta a Borea, è la discesa degli uomini, una volta a Noto ed è il cammino degli dèi e degli immortali». La porta a Borea, cioè a nord, rappresenta il solstizio estivo, quando il sole si trova a nord dell’equatore celeste, mentre quella a Noto, sud, è il solstizio invernale poiché l’astro più brillante del nostro cielo si trova a sud dell’equatore.

Questo vuole dire che i solstizi erano considerati passaggi o confini tra il mondo dello spazio-tempo il primo e dell’atemporalità il secondo.

Nel “Signore degli Anelli”, John Tolkien, attento studioso delle tradizioni nordiche parla della luce della stelle cara agli Elfi, dell’oscurità in cui è immerso il male e del sole che accoglie gli uomini che saranno i padroni della IV Era, questa era del Mondo.

Abbiamo rievocato un tempo antico che è ancora il nostro tempo, ma che la vita frenetica di ogni giorno ci fa sembrare a noi estraneo. E in questo modo perdiamo il senso della tradizione, il senso di quello che noi siamo, del nostro rapporto con la natura e con il suo e nostro Creatore. Fermarci a riflettere, magari in una notte in cui i confini tra reale e irreale sono più labili, e andare col pensiero a epoche in cui i cuori e le menti degli uomini erano più leggeri e liberi.

Cosi il poeta cominciò a narrare: «Sappi, o principe che tra gli anni in cui gli oceani inghiottirono Atlantide e le sue splendide città, e gli anni dell’ascesa dei figli di Ario, ci fu un’età di sogno durante la quale fantastici regni erano disseminati nel mondo, come manti celesti sotto le stelle… ».

E come scrive Morgan Llywelyn:«I giganti camminavano sulla terra a quei tempi. Mi piacerebbe credere che sia ancora così».

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