“Guerra a Gaza. Non in mio nome”. La Freedom Flotilla e la marcia di Standing Together

Il mondo, ancora incredulo, piange i 9 bambini e il marito di Alaa, morti durante un raid israeliano a Gaza, mentre la madre – pediatra – si trovava in ospedale ad assistere i malati; un lieve anelito di speranza sembrava essersi sollevato quando il 1 giugno era salpata dal porto di Catania la “Freedom Flotilla” diretta a Gaza.
A bordo dell’imbarcazione si trovavano 12 attivisti, tra i quali anche la giovane Greta Thunberg e l’europarlamentare Rima Hassan; la barca conteneva cibo e medicine per la popolazione di Gaza. Si trattava ovviamente di una spedizione dal valore puramente simbolico (il cibo e i medicinali contenuti nella stiva della piccola imbarcazione non erano certo sufficienti per tutta la popolazione della Striscia), ma l’idea degli attivisti, che si erano impegnati in questa pericolosa missione, era piuttosto quella di sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi europei che sembrano sordi nei confronti dello sterminio di civili che da più di due anni è in atto a Gaza.
Prima di partire l’attivista svedese aveva girato un video nel quale diceva: “Mi chiamo Greta Thunberg e vengo dalla Svezia. Se vedete questo video, siamo stati intercettati e rapiti in acque internazionali dalle forze di occupazione israeliane, o da forze che sostengono Israele. Esorto la mia famiglia, i miei amici e compagni a mettere pressione al Governo svedese affinché intervenga per far rilasciare me e gli altri il prima possibile”. L’equipaggio della Madleen, così si chiama l’imbarcazione, era dunque consapevole dei pericoli ai quali si stava esponendo, anche perché sin dal momento della partenza il governo di Israele aveva fatto sapere che avrebbe fermato l’imbarcazione con gli aiuti umanitari “in qualsiasi modo”.
Domenica mattina, infatti, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, aveva ordinato all’esercito di impedire alla Madleen di raggiungere Gaza, definendo la Thunberg un’antisemita e la missione un’operazione di propaganda a favore di Hamas.
Com’era facile immaginare la nave è stata sequestrata e dirottata verso il porto di Ashdod. Sono state diffuse foto dell’equipaggio e di Greta Thunberg che ricevono cibo e acqua dai soldati israeliani, mentre il ministro degli esteri riferendosi all’imbarcazione come a uno “yacht da selfie”, ha confermato che la Madleen è sotto il controllo di Israele, aggiungendo che i passeggeri “sono destinati a rientrare nei rispettivi Paesi d’origine”. Insomma per il governo israeliano la missione di Greta Thunberg sarebbe stata poco più di una gita in barca a vela in acque poco tranquille, una “ragazzata” organizzata da un gruppo di irriducibili idealisti.
Secondo Amnesty international invece, e anche secondo il parere di Huwaida Arraf, avvocato per i diritti umani e organizzatrice della Freedom Flotilla, “questo sequestro viola palesemente il diritto internazionale e viola gli ordini vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia che impongono il libero accesso umanitario a Gaza. Questi volontari non sono soggetti alla giurisdizione israeliana e non possono essere criminalizzati per aver consegnato aiuti o contestato un blocco illegale: la loro detenzione è arbitraria, illegale e deve cessare immediatamente”.
Il Centro per i diritti umani Adalah ha dichiarato che i volontari sono detenuti illegalmente e che fino a questo momento Tel Aviv non ha fornito informazioni sufficienti sullo status legale, inoltre il ministro della Difesa Israel Katz ha costretto gli attivisti della Freedom Flotilla a vedere un video sull’attacco di Hamas in Israele, il 7 ottobre 2023.
Non sono mancati in Italia i commenti del vicepresidente del consiglio Tajani: “Il problema è che loro hanno cercato di entrare in acque territoriali israeliane con una manifestazione provocatoria – ha dichiarato – Una piccola imbarcazione non poteva portare grandi aiuti. Era soltanto una manifestazione politica”. “Credo – ha poi continuato – che bisogna trattare con Israele, le provocazioni servono a fare propaganda e null’altro, ma credo invece che si debba aiutare il popolo palestinese che sta soffrendo, ed è una vergogna quello che sta accadendo”.
Belle parole, certo!
Peccato che solo qualche settimana prima L’Italia avesse votato contro la revisione dell’accordo di cooperazione tra l’UE e Israele, contro il riconoscimento della Palestina e contro l’impegno ad attuare azioni pratiche per fermare il genocidio a Gaza. La maggioranza di centrodestra ha approvato una mozione molto generica, che si limita a esprimere «preoccupazione» per la crisi umanitaria in corso e a ribadire il sostegno a un processo negoziale basato sulla coesistenza di due Stati «con confini mutualmente riconosciuti», senza menzionare Israele né i crimini di guerra. A pochi risulta chiaro come la nostra Premier, Giorgia Meloni, che ama definirsi “donna, madre e cristiana”, riesca a poi a conciliare in cuor suo questa definizione con gli oltre 50 mila morti a Gaza.
Ben diverso il ruolo di stati come come Irlanda, Spagna, Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Portogallo, Malta e Olanda che hanno invece votato a favore della revisione degli accordi con Israele, condannando in modo fermo il massacro che Netanyahu sta portando avanti contro i civili palestinesi.
Ma Netanyahu, a quanto pare, non trova pace neanche a casa sua: da marzo le proteste degli ebrei a Gerusalemme sono diventate sempre più dure: i cittadini chiedono ancora una volta a gran voce il rilascio degli ostaggi e il blocco del piano per l’invasione di Gaza.
Il 26 maggio, durante la “marcia delle bandiere”, un nutrito numero di fondamentalisti ebrei hanno invaso la città vecchia e solo grazie agli attivisti, guidati da Aloon-Lee Green, i palestinesi presi di mira sono stati protetti.
Nel frattempo migliaia di israeliani di Standing Together, un movimento che unisce ebrei e palestinesi e che dal 2015 lotta contro l’occupazione militare dei territori arabi, ha organizzato un’imponente marcia per portare cibo e aiuti nella Striscia: “Siamo qui, migliaia di ebrei e palestinesi (arabi israeliani) – racconta Aloon-Lee Green dalla testa del gruppo –. Protestiamo contro l’annientamento di Gaza, dopo che la polizia ha cercato di impedirci di marciare. Siamo qui contro la fame, l’uccisione dei bambini e contro il nostro governo”.
I media israeliani seguono in diretta la dimostrazione che per la prima volta ha portato, in modo massiccio, fino al confine della Striscia la protesta contro l’esecutivo.
Una settimana fa, al Festival dei Cammini di Francesco nella basilica di Santa Croce a Firenze, la celebre cantante israeliana Noa, in un toccante discorso che ha preceduto il concerto di chiusura della prima giornata del Festival, ha detto: “Sostenete il popolo israeliano, non il governo; sostenete il popolo palestinese, non Hamas” – “Devo parlare in termini chiari: come israeliana, come donna, come ebrea, madre, essere umano chiedo la fine immediata dell’orribile guerra condotta a Gaza” – “Desidero innalzare la mia voce in modo chiaro e netto: non in mio nome si sta facendo questo, non in nome di milioni di israeliani che sono stati illusi, raggirati, ingannati, traditi e rapiti da un gruppo demoniaco folle e corrotto di persone che, se non verranno fermate, condurranno non solo Gaza ma anche Israele alla morte. È importante che voi sappiate che noi in Israele stiamo lottando valorosamente contro questi criminali, così come gli abitanti di Gaza, anche nella tragedia indicibile che stanno soffrendo, innalzano la loro voce coraggiosa contro Hamas, spesso a costo della morte”
Non ci resta che augurare all’equipaggio della Freedom Flotilla di essere al più presto rilasciato e gridare insieme a Noa: “Guerra a Gaza non in mio nome”.