L'Intervista

Dale Rocka and the Volcanoes: 25 Anni di Rockabilly Made in Sicily

La scena musicale siciliana è pronta a vibrare al ritmo travolgente del rockabilly perché Dale Rocka and the Volcanoes hanno lanciato il loro ultimo album “Keep on Rockin”. La band celebra un quarto di secolo di pura passione rockabilly e decine di concerti in giro per il continente, mantenendo viva la fiamma di un genere musicale intramontabile. Con un sound che richiama le radici del rock ‘n’ roll, da Elvis ai meno noti ma altrettanto influenti Billy Riley, Warren Smith e Pat Cupp, la band dimostra che il rockabilly è più che un semplice revival, è una fiamma che continua a bruciare con passione tra gli appassionati di tutto il mondo. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Massimo Rocca, il cantante e leader della band, in occasione del concerto tenutosi a Catania l’8 settembre 2023. Scopriamo cosa ha da raccontarci della sua carriera musicale, e del nuovo album inciso su vinile, omaggio a Giuseppe Bartoli, speaker radiofonico e disk-jockey catanese dei primi anni 80, un’icona della scena rockabilly siciliana.

Ciao Massimo, 25 anni di Rockabilly con Dale Rocka and the Volcanoes sono un traguardo importante. Cosa ti ha ispirato e motivato a continuare a suonare questo genere musicale così particolare per così tanto tempo?

Ciao Davide, in tenera età fui folgorato dal suono di un 45 giri che avevo a casa. Da un lato c’era “Rock Around the Clock” di Bill Haley, dall’altro “Maybe Baby” di Buddy Holly. Era un ritmo completamente diverso dalla musica disco a cui noi bambini degli anni ’70 eravamo continuamente esposti. Nel 1977 mi dissero che era morto un cantante di nome Elvis e cominciai a sentire le sue canzoni alla radio. Quel suono era davvero unico. Da lì a qualche anno arrivò il “Rockabilly revival” e l’intero movimento giovanile che caratterizzò Catania nei primi anni ’80. Non ho mai avuto dubbi su quale potesse essere la mia musica preferita!

Nel corso degli anni ho suonato anche punk e garage con i miei amici di gioventù, gli Oxeyed. Sono passato poi al Doo Wop con il Silver Trio, ma suonare con i Volcanoes è diverso: abbiamo il suono che ho sempre cercato in una band! Durante i nostri spettacoli trasmettiamo in modo sincero la nostra energia, e vedere il pubblico esaltarsi ci fa andare avanti come un treno.

Nella vita sono una persona molto tranquilla e riservata per carattere; è il mio tratto distintivo. Quando canto su un palco con la mia band, invece, emerge lo spirito selvaggio di chi non vede l’ora di suonare la musica più trasgressiva che esista.

Tra i tanti motivi per cui continuiamo a esistere, ce n’è uno legato a un episodio accaduto molti anni fa. Mentre suonavamo in un club di R’n’R in Olanda, vedevo dimenarsi sotto il palco un ragazzino che cantava a memoria i testi delle nostre canzoni. Può sembrare banale, ma personalmente questo mi ha incoraggiato a scrivere più canzoni e a pensare che dall’altra parte del mondo c’è sempre un ragazzino che le canta.

“Keep on Rockin” è il vostro ultimo album. Puoi condividere con noi alcune curiosità sul processo di creazione di questo lavoro e spiegarci cosa rende questo album così speciale per voi?

A parte qualche sovraincisione, abbiamo registrato tutto in presa diretta in una sola giornata presso il Frankensound di Catania, con il supporto tecnico di Luciano De Franco. Avevo scritto undici brani, ma ne mancava uno per completare la seconda facciata del vinile; quindi, ho chiesto a Vince Mannino di comporne uno strumentale. Dopo soli dieci minuti è nata “Motorcycle Woman”, che abbiamo inserito come ultima canzone sul lato B. Straordinaria è stata la collaborazione di Pino Ninni, che ha suonato il banjo in “Black Stone”. Grazie a lui, abbiamo potuto aggiungere un tocco di Bluegrass, un genere che, a mio parere, ha molte affinità con il Rockabilly. Un’altra cosa a cui tenevo particolarmente era duettare con Debby Lou, non solo perché è la mia compagna nella vita, ma anche perché è una cantante di indiscusso talento. Io e Debora abbiamo cantato insieme in “Rusty Moon”, un brano con un sapore Hillbilly.

La grafica è stata realizzata dal nostro amico Lorenzo Scandurra. Anche solo per la copertina, questo è un disco da avere. Quello che rende speciale questo album è che non è diverso dai precedenti, ha la stessa carica ed energia di sempre, ma è suonato da una band più matura musicalmente.

La vostra musica è profondamente radicata alle tradizioni del Rockabilly degli anni ’50. Come avete cercato di preservare questo stile classico mentre aggiungevate un tocco moderno nel vostro nuovo album?

Si certo, ci ispiriamo ai nostri eroi del Rockabilly anni 50! Sin dall’inizio ci hanno etichettato come una band “authentic” perché registravamo i nostri dischi usando apparecchiature analogiche cercando di riprodurre un suono antico. A mio parere, il risultato non dipende dal procedimento di incisione ma dallo stile e dal modo di suonare dell’intera band. È inevitabile che ci sia quel tocco di modernità di cui parli. Io per primo non ritengo di avere uno stile vocale che possa essere considerato autentico, al contrario, ad esempio, dello stile chitarristico puramente anni ’50 di Vince Mannino. Lui è ormai una figura di fama internazionale ed è anche il cantante di un’altra mia band: Vince & the Moon Boppers. Per noi, Vince è una figura fondamentale e un vero punto di riferimento. Poi c’è Giovanni Ziino alla batteria, veterano del gruppo, che nel corso di tutti questi anni ha sviluppato un modo di suonare che lo ha reso protagonista insieme a Vince di questo ultimo album e dei nostri concerti dal vivo. Andrea Amico è il nuovo arrivato, suona il contrabbasso come pochi sanno fare. Se ascolti attentamente il disco, potrai renderti conto come Andrea riesca a far suonare quel grande contrabbasso, con l’ausilio di un solo microfono distante 50 cm. Tutto questo era solo un pretesto per presentarti i miei amici vulcani, se il nostro sound sia moderno o antico, francamente per me ha poca importanza. Sicuramente la nostra band è diversa dalle altre band di Rockabilly e il nostro stile è riconoscibile fin dalle prime note.

Avete suonato in molti paesi nel corso degli anni. Ci racconti un’esperienza memorabile che ancora ricordi, avvenuta nel corso dei vostri tour o delle esibizioni all’estero?

Abbiamo avuto la fortuna di suonare in quasi tutti i paesi d’Europa, sia in piccoli club che in grandi festival. Nel 2014 ci venne proposta l’opportunità di andare a Las Vegas per partecipare al “Viva Las Vegas”, forse il festival più importante a livello internazionale dedicato alla cultura musicale degli anni ’50. Abbiamo colto l’occasione per effettuare un breve tour in California, concludendo il nostro giro esibendoci su quel prestigioso palco. Fu uno spettacolo entusiasmante, e alla fine del concerto l’organizzatore mi disse: “Avete insegnato agli americani come si suona questa musica!”.

È evidente che per noi non poteva esserci un complimento migliore, ma ciò mi ha fatto riflettere sul fatto che sono sempre stati i musicisti europei a preservare le tradizioni di questo genere musicale inventato dagli americani, più di quanto abbiano fatto loro stessi. Artisti come Chuck Berry o Carl Perkins, ad esempio, tornarono alla ribalta nei primi anni ’60 grazie alle centinaia di band britanniche che eseguivano le loro canzoni!

“Keep on Rockin” è un omaggio a Giuseppe Bartoli, una figura influente nella scena Rockabilly siciliana. Puoi dirci di più su questa dedica e su come Bartoli ha influenzato la vostra musica e la scena locale?

La canzone “Keep on Rockin'” parla brevemente di un ragazzino, come me nei primi anni ’80, che tornando da scuola non vedeva l’ora di accendere la radio per ascoltare il suo programma musicale preferito. Nel brano vengono infatti citati alcuni titoli di canzoni che ricordo di avere ascoltato per la prima volta proprio alla radio. Giuseppe Bartoli credeva che una piccola metropoli nel profondo sud d’Europa, come Catania, non fosse diversa da città come Londra o Parigi e, senza compromessi, propose il Rockabilly in radio. Poi, insieme a suo fratello Fabrizio, portò il fenomeno anche in discoteca, dove centinaia di ragazzi avevano modo di vivere una scena musicale che nella maggior parte delle regioni d’Italia era inesistente. Sì, certo, erano altri tempi e un contesto storico diverso, ma ciò conferma il concetto che il pubblico va informato ed “instradato” ai fenomeni culturali, musicali o di altro genere. La dedica a Bartoli, quindi, era dovuta, perché senza il suo spirito di iniziativa, probabilmente Dale Rocka and the Volcanoes non sarebbero mai esistiti.

Grazie mille Massimo, auguro il meglio a te e alla band e… Keep on Rockin’!

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