Codacons: serve un Piano Nazionale per la Dignità Penitenziaria

A cinquant’anni dall’entrata in vigore della legge n. 354 del 26 luglio 1975, che introdusse l’Ordinamento Penitenziario, il Codacons denuncia che, nonostante mezzo secolo di riforme e dibattiti, la condizione delle carceri italiane resta critica e lontana dai principi fissati dalla Costituzione e dalla legge del 1975, che sanciscono la dignità della persona e la funzione rieducativa della pena.
“Le carceri italiane continuano a essere luoghi di sofferenza e abbandono – dichiara il giurista Francesco Tanasi, Segretario Nazionale Codacons – Sovraffollamento, carenze igienico-sanitarie, scarsità di personale e strutture obsolete compromettono ogni prospettiva di recupero e di reinserimento dei detenuti.
È necessario un vero Piano Nazionale per la Dignità Penitenziaria, che riporti umanità e senso alla pena e restituisca dignità anche a chi lavora ogni giorno negli istituti di pena”.
L’associazione evidenzia inoltre che, in molte regioni, l’attività dei Garanti dei detenuti si è rivelata marginale o poco incisiva, spesso ridotta a un ruolo formale, privo della forza necessaria per incidere sulle politiche penitenziarie o per garantire tutele concrete.
Parallelamente, il CODACONS richiama l’attenzione sulle difficoltà del personale penitenziario, costretto a operare in condizioni di forte stress e con organici insufficienti, ricordando che la dignità deve essere assicurata non solo ai detenuti, ma anche a chi ogni giorno presta servizio all’interno delle strutture.
Per il Codacons, non si può più parlare di giustizia e sicurezza se non si affrontano le cause strutturali che rendono il carcere un luogo di sofferenza anziché di recupero.
Servono investimenti mirati, formazione, sostegno psicologico, misure alternative alla detenzione e programmi di reinserimento efficaci, in grado di ridurre la recidiva e restituire senso alla pena.
L’associazione conferma il proprio impegno a vigilare, denunciare e proporre riforme concrete, perché l’Italia non può continuare a ignorare la realtà del sistema penitenziario e i principi di umanità e legalità fissati mezzo secolo fa.
Dopo cinquant’anni, il tempo delle parole è finito: servono azioni e responsabilità da parte delle istituzioni.
“Le carceri italiane sono lo specchio di una società che ha smarrito il senso della giustizia rieducativa. Dopo cinquant’anni, non c’è più tempo da perdere: bisogna cambiare davvero”, conclude Tanasi.