Spettacoli

“Tu che di gel sei cinta”: Turandot al Bellini

“Tu che di gel sei cinta”: Turandot al Bellini, nel Centenario della morte di Giacomo Puccini. Opera in tre atti e 5 scene su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni. Musica di Giacomo Puccini.
Interpreti: Turandot – Daniela Schillaci, Anastasia Boldyreva (S1, S2, R); Calaf – Angelo Villari, Marco Berti (S1, S2, R); Liù Elisa Balbo, Cristin Arsenova (S1, S2, R); Timur – George Andguladze, Gianfranco Montresor (S1, S2, R); Ping – Vincenzo Taormina; Pang – Saverio Pugliese; Pong – Blagoj Nacoski; un mandarino – Tiziano Rosati; Altoun – Mario Bolognesi.
Direttore d’orchestra, Eckehard Stier. Regia, Alfonso Signorini. Maestro del coro, Luigi Petrozziello. Scene, Carla Tolomeo, riprese da Leila Fteita. Costumi Fausto Puglisi, ripresi da Leila Fteita. Light designer Antonio Alario. Assistente alla regia Paolo Vitale, Anna Aiello. Assistente costumista, Giovanna Giorgianni. Direttore degli Allestimenti Scenici, Arcangelo Mazza. Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Massimo Bellini di Catania.
Coro di voci bianche: Coro interscolastico Vincenzo Bellini; diretto da Daniela Giambra.
Allestimento del Festival Pucciniano di Torre del lago e Opera nazionale Georgiana di Tblisi
Nel primo centenario della morte di Giacomo Puccini, il Teatro Bellini ha proposto l’opera postuma del musicista con il finale di Luciano Berio, prima d’ora mai eseguito a Catania.
“Berio era legato alla volontà di Puccini, che ci ha lasciato orfani del finale – ha spiegato Carminati – spero che il pubblico possa apprezzare questa scelta” anche se la Ricordi e il maestro Toscanini insieme ad Antonio, il figlio di Giacomo, avevano deciso di affidare a Franco Alfano la conclusione dell’opera.
Lo aveva annunciato il regista Alfonso Signorini (protagonista già in estate con la Cavalleria Rusticana a Vizzini) nella conferenza stampa di presentazione.
Erano presenti come relatori anche il soprintendente Cultrera di Montesano, l’assessore regionale allo Spettacolo Elvira Amata, i direttori d’orchestra Carminati ed Eckehard Stier (“Sarò assolutamente onesto con l’opera e con la musica di Puccini perché Turandot è una delle musiche più belle mai scritte ha dichiarato il direttore ospite principale) e Vicari il direttore amministrativo, coordinati da Caterina Andò.
“Puccini era un uomo contemporaneo – ha dichiarato Signorini – era un uomo di spettacolo… Per questo ritengo che fare la regia di una sua opera significa rispettare la sua drammaturgia. Non sono per lo stravolgimento delle opere, del melodramma, non ne hanno bisogno… non sarà la mia “Turandot”, ma quella di Giacomo Puccini con le mie suggestioni”.
Va così in scena ancora un gioiello dedicato all’universo femminile – Manon Lescaut (1893), La bohème (1896), Tosca(1900), Madama Butterfly (1904) e Turandot (1926) – dal compositore lucchese che, si mosse tra verismo musicale e decadentismo, ammirazione per Wagner e omaggio all’esotismo.
Le donne certamente furono molto presenti nell’ ispirazione di Puccini e nella sua vita. Impenitente donnaiolo, amò, infatti, definirsi “un potente cacciatore di uccelli selvatici, libretti d’opera e belle donne”.
“Sono – diceva di sé stesso – nevrotico, isterico, linfatico, degenerato, malfattoide, erotico, musico-poetico… birbante, maschilista, uomo da bettola e da bordello… innamorato perdutamente dell’amore”.
Si concedeva numerose trasgressioni che chiamava i “piccoli giardini”, nonostante lo scandalo della servetta, Doria, che si suicidò, nel 1908, a Torre del lago a causa delle infondate accuse (l’autopsia confermò che la ragazza era illibata) mosse dalla gelosissima moglie Elvira.
Ma era anche un uomo amabile, fascinoso, elegante e raffinato. Le donne segnarono tutta la sua esistenza, insieme alle sigarette che iniziò a fumare a dodici anni e che lo portarono alla morte a Bruxelles nel 1924 per cancro all’epifaringe: “Ho l’inferno in gola, mi sento svanire”, scrive Puccini, non riuscendo più a parlare, sul suo inseparabile taccuino.
Al contrario delle sue precedenti eroine frementi, appassionate e destinate alla morte, è lei, la crudele e algida Turandot, avida di sangue a decidere la morte dei suoi innamorati e incolpevoli pretendenti.
Quali sono le fonti letterarie cui attinse Puccini? La principessa Khutullin – Raggio di Luna è l’eroina di una novella persiana anonima inserita nel poema Heft Peiker di Niẓāmī del secolo XIII. Raggio di luna era figlia di un condottiero mongolo, ottima combattente lei stessa. Sfidava i suoi pretendenti, scegliendo quello di suo maggior gradimento. Ma la fonte principale fu la tragicommedia Turandotte, una delle dieci «fiabe drammatiche» del ‘reazionario’ conte Carlo Gozzi rappresentate a Venezia tra il 1761 e il 1765 in polemica con il ‘borghese’ Carlo Goldoni. Alla coeva società goldoniana Gozzi contrapponeva “il tempo delle fiabe” irreale e simbolico, misto alla commedia dell’arte.
Comunque, sicuramente Renato Simoni, coautore del libretto e sinologo, molto contribuì alla reinterpretazione pucciniana della fonte letteraria, prima di Carlo Gozzi e poi di Friedrich Schiller (tradotto da Andrea Maffei), per giungere alla composizione di “Turandot”.
Fin dalla primavera del 1920, Puccini con i suoi librettisti avrebbe iniziato quella dura fatica di ben quattro anni che gli consentì di portare l’opera quasi a termine, ma non completamente.
La trama è ben nota ai melomani pucciniani. «A Pechino al tempo delle favole» Turandot (in persiano Tūrāndokht “fanciulla del Tūrān”), la figlia dell’imperatore annuncia, in un editto, che sposerà il pretendente di sangue reale che abbia svelato tre difficili indovinelli da lei stessa proposti. Però condanna a finire sotto la mannaia del boia i nobili pretendenti incapaci di risolvere i tre enigmi a cui la principessa li ha sottoposti per vendicare l’abuso millenario subito dalla sua antenata (“Principessa Lo-u-ling, Ava dolce e serena, che regnavi nel tuo chiuso silenzio, in gioia pura, e sfidasti inflessibile e sicura l’aspro dominio, tu rivivi in me!”). Giunge -insieme allo sconfitto padre Timur, re dei Tartari, e alla dolce schiava Liù- il principe Calaf, esiliato e in incognito, di cui Liù (“Signore ascolta”) è da sempre segretamente innamorata. Acceso d’improvviso amore per la divina bellezza della perfida Turandot, Calaf accetta la sfida che può riservargli la morte. Così lo ammoniscono con cinismo i ministri Ping, Pung e Pang capaci di comprendere il nodo velenoso che porta la figlia dell’imperatore a temere le nozze (“Mai nessun m’avrà”), e a odiare gli uomini: una coazione a ripetere mirata a punire: “Cosa umana non sono… / Son la figlia del cielo / libera e pura; l’anima è lassù»; «Non profanarmi!”; «Non mi toccar, straniero! È un sacrilegio!”
TURANDOT
Straniero, ascolta:
“Nella cupa notte vola un fantasma iridescente.
Sale e spiega l’ale sulla nera infinita umanità.
Tutto il mondo l’invoca e tutto il mondo l’implora.
Ma il fantasma sparisce coll’aurora
per rinascere nel cuore.
Ed ogni notte nasce ed ogni giorno muore!” CALAF
Sì! Rinasce! Rinasce e in esultanza
mi porta via con sé, Turandot: la Speranza!
TURANDOT
Sì, la speranza che delude sempre!
“Guizza al pari di fiamma, e non è fiamma.
È talvolta delirio. È febbre d’impeto e ardore!
L’inerzia lo tramuta in un languore.
Se ti perdi o trapassi, si raffredda.
Se sogni la conquista, avvampa, avvampa!
Ha una voce che trepido tu ascolti,
e del tramonto il vivido baglior!” CALAF
Sì, Principessa! Avvampa e insieme langue,
se tu mi guardi, nelle vene: il Sangue!
TURANDOT
Percuotete quei vili!
“Gelo che ti dà foco e dal tuo foco più gelo prende!
Candida ed oscura! Se libero ti vuol ti fa più servo.
Se per servo t’accetta, ti fa Re!”
Su, straniero, ti sbianca la paura!
E ti senti perduto!
Su, straniero, il gelo che dà foco, che cos’è?
CALAF
La mia vittoria ormai t’ha data a me!
Il mio fuoco ti sgela: Turandot!
Calaf ha tutte le risposte: sangue, speranza e soprattutto Turandot. Ha vinto e tuttavia di fronte alla riluttanza della donna, si dichiara ancora pronto a morire se lei saprà scoprire il suo nome (“Nessun dorma…”). Intercettata Liù come custode del mistero, per amore di Calaf la schiava, torturata, si toglie la vita pur di non rivelarne l’identità (“Liù, Liù sorgi…Liù bontà, Liù dolcezza”).
Nel dicembre del 1923 Puccini è fermo a questa scena. Nel novembre 1924 moriva. L’opera debutta postuma il 25 aprile 1926. Sul podio della prima Arturo Toscanini depone la bacchetta proprio alla morte di Liù, rivolgendosi al pubblico (come aveva promesso a Puccini) con la celeberrima frase: “Qui il Maestro è morto”.
Non avrebbe mai più diretto “Turandot”.
Liù (“Tu che di gel sei cinta”), con la sua morte sacrificale sembra far ritrovare la complessa, patologica femminilità della gelida principessa.
Baciata da Calaf, che le rivela il suo nome, Turandot si arrende all’Amore!
La folla, l’altro corale interprete che non funge solo da sfondo, finalmente applaude felice, dopo aver sottolineato tutti i momenti focali dell’opera (“Diecimila anni al nostro imperatore”).
Affascinato dall’esotismo in voga, Puccini studiò autentiche melodie cinesi e utilizzò alcuni temi del carillon dell’amico barone Fassini Camossi.
La sua villa, a poca distanza da quella del compositore, era arredata con ogni sorta di oggetti orientali tra cui il prezioso carillon che regalò al compositore che ne trasse ben due arie della Turandot: “La sui monti nell’est” brano popolare cinese e l’inno all’imperatore Altoum “Diecimila anni al nostro imperatore”.
Suggestioni misteriche ed esoteriche, insieme a una forte carica simbolica, attraversano il tema degli enigmi.
Contrariamente alla tradizione che vedeva la Sfinge presentare a Edipo un unico enigma centrato sull’uomo, Turandot esige la soluzione di tre. La Sfinge chiede a Edipo: “Chi sei?”, mentre Turandot chiede: “Chi sono?”. Il rebus è sempre quello della propria identità. Vero soggetto della “Turandot” è il mistero che si sublima nell’amore: passione ardente nel principe Calef, sacrificio e dono per Liù e scioglimento del gelo in Turandot: vita e morte, gelo e passione. Non sapremo mai come Giacomo Puccini avrebbe terminato la sua “Turandot”, È questo l’ultimo enigma dell’opera che non potrà mai essere svelato.
Magnifico spettacolo, splendida esibizione, eccellenze canore e strumentali hanno emozionato profondamente un pubblico entusiasta che ha riservato a tutto lo staff scroscianti e ripetuti applausi.

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