Teheran, arte sotto le bombe: Arim Mokhtari e Parsa Moshlei Fard, due voci di speranza

Teheran, giugno 2025. La città vive uno dei suoi momenti più drammatici degli ultimi anni. Il cielo sopra la capitale iraniana è solcato quotidianamente da missili e droni; il rumore delle esplosioni è diventato colonna sonora di giorni fatti di paura, incertezza, corpi nei rifugi e occhi rivolti al cielo. Le bombe israeliane, parte di un’escalation militare che coinvolge vari fronti in Medio Oriente, hanno colpito infrastrutture civili e militari, siti strategici, zone residenziali. È una guerra che si consuma dentro e fuori la città, e che si riflette nei volti della popolazione, tesi, stanchi, increduli. Ma in questo paesaggio segnato dalla distruzione, dalla tensione e dal dolore, qualcosa di straordinario accade: due giovani artisti, il pittore Arim Mokhtari e il pianista Parsa Moshlei Fard, decidono di offrire un momento di arte, di bellezza, di resistenza culturale. Una performance unica, surreale, realizzata in un piccolo spazio teatrale nel cuore della città, mentre le sirene anti-aeree risuonano in lontananza e le vibrazioni delle esplosioni scuotono le pareti. Arim Mokhtari, noto per le sue tele intense e spirituali, per il suo modo di dipingere che unisce tradizione persiana e linguaggio contemporaneo, ha scelto di realizzare dal vivo una grande tela, lasciando che le emozioni e le note guidassero la mano. Accanto a lui, Parsa Moshlei Fard, giovane pianista dal tocco profondo e struggente, ha suonato un programma fatto di brani propri e reinterpretazioni di musiche popolari iraniane, mescolate a improvvisazioni ispirate al rumore stesso della guerra: il suono grave delle sirene, lo stridore del ferro, il battito accelerato di un cuore in fuga. Nessuna parola, nessuna retorica, solo la forza della creazione che si manifesta proprio là dove tutto sembra voler distruggere. Il pubblico – poche decine di persone, raccolte in un silenzio quasi sacro – ha assistito a un momento che trascende l’arte: è stata un’esperienza spirituale, un rito collettivo di resilienza. In quel piccolo teatro, la guerra si è per un istante sospesa, e la bellezza ha preso il suo posto. La pittura di Mokhtari, che si sviluppava davanti agli occhi di tutti, mostrava figure evanescenti, paesaggi interiori, volti senza tempo: simboli di chi resiste, di chi spera, di chi sogna. Il pianoforte di Parsa accompagnava ogni gesto, ogni colore, ogni silenzio. Non c’erano grandi scenografie, non c’erano apparati mediatici: solo due esseri umani che condividevano con altri la loro fragilità e la loro forza. Questo gesto, piccolo e immenso al tempo stesso, è un esempio lampante di ciò che l’arte può essere nei tempi di crisi: un rifugio, una denuncia, un’arma nonviolenta, un ponte tra dolore e possibilità. In un momento in cui la cultura sembra sempre più sacrificata alle logiche del potere e della guerra, Arim e Parsa ci ricordano che esiste un altro modo di stare nel mondo: creare, invece di distruggere; raccontare, invece di censurare; sentire, invece di indurire il cuore. Non è solo una questione di bellezza, ma di sopravvivenza spirituale. Quando tutto crolla – le case, le istituzioni, le certezze – l’arte può essere ciò che tiene insieme l’umano. Non fermeranno la guerra, né cambieranno il corso degli eventi globali. Ma in un teatro bombardato dalla paura, due artisti hanno dimostrato che esiste ancora un’umanità che resiste creando, e non distruggendo. Hanno suonato e dipinto come se ogni nota e ogni colore fossero un argine alla violenza. In una Teheran lacerata, il gesto di Mokhtari e Moshlei Fard non è stato solo arte: è stato un grido civile, un atto di coraggio, una fiaccola accesa nel buio. E quando tutto il resto tace, resta la cultura a raccontare chi siamo davvero. Anche sotto le bombe. Anche quando il mondo si dimentica di ascoltare.