Diritto

Codice rosso: un anno dalla entrata in vigore

Il 9 agosto 2019 è entrata in vigore la legge n. 69 del 2019 (cosiddetta “Codice Rosso”) recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere».

Tale riforma interessa tanto la materia processuale quanto la materia sostanziale.

Per ciò che interessa l’aspetto processuale, la l. n. 69 del 2019 mira a rendere più celere l’adozione dei provvedimenti atti a tutelare la vittima. Infatti, la polizia giudiziaria, una volta acquisita la notizia di reato, la trasmette senza ritardo, anche in forma orale, al Pubblico Ministero. Quest’ultimo entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato.

Dal punto di vista sostanziale, invece, oltre l’inasprimento del trattamento sanzionatorio per taluni reati, il c.d. Codice rosso introduce quattro nuove fattispecie di reato.

1- L’art. 612 ter c.p.: cosiddetta “revenge porn”.

Tale articolo sanziona il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti prevedendo la pena della reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.

La pena è aumentata se i fatti sono stati commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi mediante strumenti informatici o telematici.

Tale fattispecie prevede, dunque, due condotte differenti: nella prima ipotesi, il reo deve essersi procurato il suddetto materiale mediante la realizzazione diretta dello stesso oppure per averlo sottratto personalmente; nella seconda ipotesi, invece, le immagini o i video devono essere stati ricevuti o, comunque, acquisiti.

Il delitto è punito a querela della persona offesa nel termine di sei mesi, ferma restando la procedibilità d’ufficio per le ipotesi in cui opera l’aggravante della particolare condizione di inferiorità fisica (co. 4 c.p.) e per i casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

2- L’art. 558 bis c.p.:il delitto di costrizione o induzione al matrimonio.

 Con l’introduzione di questa fattispecie, il legislatore punisce chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile con la pena della reclusione da 1 a 5 anni. Alla stessa pena soggiace anche chi, mediante una serie di condotte induce taluno a contrarre matrimonio o unione civile. Il legislatore, infine, prevede anche due ipotesi aggravate: quando i fatti sono commessi in danno di un minore di anni 18 e nel caso in cui la vittima sia un infraquattordicenne.

3- L’art. 583 quinquies c.p.: il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso.

 L’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di contrastare le condotte di chi, mediante l’impiego di sostanze acide o corrosive, compromette gravemente i lineamenti del volto della vittima apportando delle lesioni gravissime alla stessa. Più precisamente, la norma sanziona con la pena della reclusione da 8 a 14 anni chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso.

Per deformazione del viso si intende una alterazione irreparabile del volto che determini nell’osservatore ripugnanza e ribrezzo, mentre, integra lo sfregio permanente “qualsiasi nocumento che, senza provocare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità” (Cass. Pen., sez. V, 18 aprile 2016, n. 21394).

Il giudice non dovrà servirsi di alcuna indagine peritale per accertare la deformazione o lo sfregio e non dovrà essere in possesso di alcuna competenza di carattere tecnico. Infine, l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo generale: il reo deve aver agito con la consapevolezza e la volontà di porre in essere una condotta idonea a realizzare l’offesa.

4- L’art. 387 bis c.p.: il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

La nuova fattispecie punisce la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa adottati, in via cautelare, dal giudice. Si tratta, infatti, delle misure cautelari previste ai sensi degli artt. 582 bis e 582 ter c.p.p. necessarie per prevenire la commissione di ulteriori reati e proteggere, pertanto, la vittima.

I reati introdotti dal Codice rosso presuppongono un forte legame tra vittima e reo, un legame psichico e fisico. A ciò bisogna aggiungere che spesso sono coinvolti anche minori, spesso strumentalizzati dai genitori, che sono costretti a vedere e subire in silenzio.

Gli aspetti più labili del Codice rosso sono da ravvisare nell’accertamento “sommario” a carico del possibile reo: ciò vuol dire che è sufficiente una denuncia per uno dei reati sopra menzionati per ottenere l’adozione di una misura cautelare personale.

Ciò potrebbe prestarsi a un utilizzo strumentale di tali procedure.

Leggendo il Codice rosso sembra che manchi qualcosa: mancano interventi atti a ridurre i tempi processuali in casi del genere.

Infine, sarebbe stato più efficace prevedere, a supporto delle disposizioni contenute in tale legge, una serie di interventi volti a sostenere, da un lato, la formazione delle figure professionali coinvolte (Polizia giudiziaria), dall’altro, le vittime. Sostegni non solo a carattere economico ma, soprattutto, psicologici.

La novella legislativa è entrata da poco tempo nel nostro sistema penalistico, dunque, risulta difficile poter esprimere giudizi. Solo la piena attuazione potrà consentirci di valutarne l’efficacia.

*Avvocato

 

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