Free Palestine! L’Italia in sciopero contro i massacri di Gaza

Giorno 15 settembre è iniziata l’occupazione via terra della Striscia di Gaza. Migliaia di persone, vecchi in sedia a rotelle, bambini scalzi, donne che trascinano i loro poveri cenci, sono state costrette ad abbandonare Gaza city per spostarsi verso il sud. Hanno lasciato le loro case e adesso dormono nelle tende. Non hanno nulla da mangiare e vivono in condizioni igieniche inesistenti.
Le dichiarazioni che alcuni ministri israeliani hanno fatto quando è cominciata l’occupazione via terra, fanno sinceramente rabbrividire: per il ministro israeliano delle Finanze, Bezalel Smotrich, il genocidio a Gaza è “una miniera d’oro immobiliare”.
Quel video creato con l’IA il 26 febbraio scorso, che vedeva Netanyahu e Trump brindare allegramente sul lungomare di Gaza trasformato in un resort, forse non era solo uno scherzo di pessimo gusto!
In Italia, durante una puntata di “E’ sempre Cartabianca”, programma condotto da Bianca Berlinguer, abbiamo sentito il presidente della Federazione Amici di Israele, Eyal Mizrahi, chiedere ad un annichilito Enzo Iachetti di definire la parola “bambino” (lasciando intendere evidentemente che i bambini palestinesi non siano da considerare bambini a tutti gli effetti, ma futuri terroristi di Hamas).
Su Netanyahu pende un mandato di arresto internazionale, ma le regole della politica pare siano tutte saltate.
Lo stesso papa Leone XIV non ritiene il momento attuale adatto per pronunciare la parola “genocidio” a proposito dei civili di Gaza (parafrasando il celebre romanzo di Primo Levi, verrebbe da chiedergli. “Se non ora, quando?”).
A differenza di altri paesi come la Spagna di Sanchez (che ha approvato ben 9 misure per fermare il genocidio a Gaza e tra queste l’embargo per le armi da fornire ad Israele) e, dal 21 settembre, anche il Regno Unito, il Canada l’Australia e il Portogallo, che hanno formalmente riconosciuto lo stato della Palestina, l’Italia di Meloni e Tajani si limita a generiche espressioni di dissenso. “La reazione di Israele è decisamente sproporzionata – ha detto Meloni ad Ancona la settimana scorsa – un quadro che non può che peggiorare con l’occupazione di Gaza City, una scelta che l’Italia non può condividere…ma la posizione dell’esecutivo sull’eventuale riconoscimento della Palestina resta improntata alla massima prudenza”.
“Noi non voteremo a favore del riconoscimento della Palestina per un semplice motivo, perché la Palestina non esiste”. Questo il punto di vista del ministro degli Esteri Antonio Tajani, espresso a Tg2 Post.
Argomentazioni, quelle di Tajani, che rivelano un vero e proprio paradosso: il ministro nega il riconoscimento della Palestina perché divisa, ma dimentica che anche Israele, prima del 1948, “non esisteva” come Stato sovrano ed era a sua volta diviso tra interessi coloniali e comunità in conflitto. E più in generale potremmo dire che nessuno Stato esiste, prima che la comunità internazionale lo riconosca!
L’allineamento del governo Meloni alla linea di Donald Trump e di Benjamin Netanyahu non potrebbe essere più totale.
Nel frattempo l’Italia che, come già detto, non riconosce lo stato della Palestina (e non si affligge più di tanto per i 70 mila morti palestinesi dall’inizio del conflitto del 7 ottobre) è in lutto per l’assassinio dell’attivista di destra statunitense Charlie Kirk, ucciso da una pallottola giorno 10 settembre; figura quest’ultima di cui quasi nessun italiano sapeva niente. Oggi se ne parla dovunque, forse proprio per distrarre l’attenzione pubblica da vicende ben più scomode e incresciose.
Di fronte alle tiepide posizioni del governo italiano la protesta alla fine esplode dal basso.
Giorno 22 settembre i sindacati di base hanno dichiarato una giornata di sciopero generale al grido di “Blocchiamo tutto”. L’Italia scende in piazza in segno di solidarietà con la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza e a sostegno della Global Sumud Flotilla.
Presidi e manifestazioni coinvolgono tutto il Paese, da Trieste alla Sicilia. Cortei con migliaia di persone sfilano a Roma, Bologna, Napoli.
Si sono fermati i trasporti, le scuole, le fabbriche.
Anche a Catania i lavoratori hanno scelto di rinunciare a parte dello stipendio per far sentire la loro voce e urlare il loro secco “NO al genocidio dei palestinesi”. Presente anche un folto numero di studenti che sventolando le bandiere urlavano il loro slogan: “Free Palestine”.
Il corteo catanese partito alle 10:00 da piazza Stesicoro si è disciplinatamente diretto verso il porto di Catania dove tutti i manifestanti sono alla fine confluiti.
Certo le criticità in questa importante giornata non sono mancate: non tutti i sindacati hanno aderito allo sciopero (la CGIL aveva indetto uno sciopero parallelo per la giornata del 19 settembre) e non sono mancati in alcune città gli scontri tra alcuni facinorosi e la polizia, che a Milano e a Bologna ha deciso di utilizzare gli idranti contro i manifestanti.
Tutto ciò ha prestato il fianco alla lettura dei telegiornali nazionali e delle principali testate giornalistiche che hanno presentato lo sciopero nazionale più come un atto di disturbo della quiete pubblica (visto che il blocco dei trasporti e della viabilità ha creato disagio ai cittadini, com’è ovvio che sia) che come un atto di dissenso nei confronti della politica del governo.
“Violenze e distruzioni che nulla hanno a che vedere con la solidarietà e che non cambieranno di una virgola la vita delle persone a Gaza”, è stato l’unico commento della presidente del Consiglio Meloni, di fronte ad un’Italia che è scesa in piazza.
Ma la parte “sana” dell’Italia è stanca!
E’ stanca di vedere le atroci immagini della deportazione di Gaza, dei bambini sporchi con una scodella in mano che chiedono un po’ di cibo, e di essere accusata di antisemitismo solo perché non condivide la politica di Israele. La parte “sana” dell’Italia dice no alla guerra, alla fame dei civili e all’assenza di ogni forma di umanità.
La parte “sana” dell’Italia il 22 settembre è scesa in piazza invocando la pace e gridando “Free Palestine”!