Catania

Pressione fiscale, Catania fra le città più tartassate d’Italia

Il nuovo Osservatorio della Cna nazionale “Comune che vai, fisco che trovi”, aggiornato al 2025 in corso, fotografa una situazione ancora pesante per le piccole imprese catanesi. Una pmi tipo, con cinque dipendenti e un fatturato annuo di 50mila euro, deve destinare oltre il 54,9% dei propri utili al pagamento di tasse e contributi. E se a questo dato aggiungiamo i costi occulti determinati dalla dispersione di tempo, energie e risorse umane proprio per l’adempimento degli obblighi fiscali – che, in taluni casi, ancora oggi abbisognano della presenza allo sportello – la percentuale si alza ulteriormente.
In termini concreti, tutto ciò significa che un imprenditore catanese lavora fino al 19 luglio per lo Stato e solo dal giorno successivo comincia a guadagnare per sé e per la propria famiglia. Un dato realmente pesante che colloca Catania al 103° posto su 114 capoluoghi analizzati da Cna, tra le città peggiori d’Italia per carico fiscale, di poco avanti Agrigento, che detiene la maglia nera nazionale.
Il quadro etneo conferma in pieno l’analisi nazionale dell’Osservatorio: il peso fiscale sulle piccole imprese italiane resta tra i più alti d’Europa, un ostacolo che continua a frenare crescita, investimenti e competitività e anche qualità della vita dei cittadini.
«Il problema di Catania», spiegano Davide Trovato e Andrea Milazzo, rispettivamente presidente e segretario di Cna Catania, «non è soltanto l’eccessivo prelievo complessivo a livello nazionale, che grava su tutte le imprese, ma soprattutto l’incidenza sproporzionata delle imposte locali, in particolare Tari e Imu, che continuano a schiacciare le aziende».
La differenza è netta se si confrontano i dati etnei con quelli dei capoluoghi siciliani più virtuosi. A Enna, a esempio, un’impresa simile si “libera” dal fisco già il 4 luglio: 15 giorni prima di Catania, con un peso fiscale complessivo di circa 50%, quasi cinque punti percentuali in meno. A Palermo, invece, il Tax Free Day arriva il 7 luglio, con un’imposizione del 51,7%, quasi tre punti più leggera rispetto a Catania. In altre parole, un imprenditore catanese lavora per il fisco almeno due settimane in più ogni anno rispetto a un collega ennese e quasi due settimane in più rispetto a un palermitano. Una distanza che, in un contesto economico già fragile, riduce la capacità delle imprese locali di restare competitive.
Ma è guardando fuori dall’Isola che la forbice diventa abissale. A Gorizia, a esempio, la pressione fiscale sulle piccole imprese si ferma al 39,2%: qui il Tax Free Day arriva il 23 maggio, quasi due mesi prima di Catania. A Bolzano si lavora per lo Stato solo fino a fine maggio, con un carico fiscale che sfiora appena il 40%. In termini concreti, un imprenditore catanese lavora circa 55 giorni in più l’anno rispetto a un collega goriziano, pur operando nello stesso Paese e nello stesso quadro normativo nazionale.
Secondo l’analisi della Cna, la penalizzazione di Catania nasce principalmente dal peso ormai insostenibile delle imposte locali. La Tari, in particolare, rappresenta un vero e proprio salasso per le imprese, senza alcun legame con il dissesto comunale. Un’impresa catanese paga una tassa rifiuti quasi tripla rispetto a un’impresa ennese e più del doppio rispetto a una palermitana. A ciò si somma l’Imu sugli immobili produttivi, tra le più alte dell’Isola che, nonostante sia ormai interamente deducibile, continua a incidere fortemente sul carico fiscale complessivo. Anche le addizionali Irpef, pur non essendo tra le più elevate, pesano maggiormente a causa di una base imponibile mediamente più ampia.
«Da anni chiediamo una riforma complessiva della fiscalità locale», continuano Trovato e Milazzo, «e ribadiamo la nostra storica richiesta al Comune di Catania: modificare il regolamento Tari per le imprese che producono rifiuti speciali, applicando il prelievo solo sulle superfici dove si generano rifiuti urbani, escludendo quelle dove avviene la lavorazione, compresi i magazzini di materie prime, merci e prodotti finiti. Tale esclusione dovrebbe valere sia per la quota fissa che per la quota variabile, come chiarito già nel 2021 dal Ministero della Transizione Ecologica. Senza questo intervento, le imprese artigiane catanesi continueranno a subire una tassazione ingiusta e sproporzionata, che frena investimenti, innovazione e occupazione».
L’Osservatorio Cna 2025 conferma quanto la Confederazione sostiene da tempo: serve una riforma fiscale strutturale che coniughi equità, semplificazione e riduzione del carico fiscale sulle piccole imprese e occorre restituire competitività al sistema produttivo e completare il percorso della riforma fiscale, così da superare un modello che oggi penalizza chi investe, assume e innova. «Senza un intervento organico, le imprese etnee rischiano di restare soffocate da un carico sempre più difficile da sostenere», concludono Trovato e Milazzo.

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