Spettacoli

San Berillo secondo Domenico Trischitta alla Corte di Palazzo Recupero Cutore

Per la rassegna Teatro in Corte, organizzata dall’Associazione Città Teatro, è andata in scena, in prima assoluta, alla Corte di Palazzo Recupero Cutore di Aci Bonaccorsi, in collaborazione con Fiat Lux 2.0, lo spettacolo musicale “L’oro di San Berillo” di Domenico Trischitta cui si deve l’adattamento drammaturgico. Regia di Gisella Calì. Protagonisti, Cosimo Coltraro, Carmela Buffa Calleo, Axel Torrisi, Giorgia Morana,
Alessandro Chiaramonte, Daniele Caruso. Direzione musicale di Elisa Giunta, coreografie di Erika Spagnolo, costumi di Rosy Bellomia, scenografie di Rosario Di Paola.
Qual è la vera storia di San Berillo, il quartiere di Catania etichettato come spazio di piacere, centro di prostituzione posto strategicamente tra il porto e la stazione dove pullula un certo numero di ‘clienti, ma anche luogo di forte attrazione della gioventù cittadina e della provincia?
A metà degli anni ’50 – ricordava Pippo Baudo, che invano volle proporre il lavoro di Trischitta al Teatro Stabile di Catania – San Berillo era un forte richiamo per la gioventù catanese.
Con le sue case ‘chiuse’ autorizzate accoglieva, e a volte iniziava al sesso i diciottenni di allora.
Questo dichiara Baudo nella prefazione del libro di Domenico Trischitta, tratto dalle memorie di suo padre (Saro nello spettacolo).
Nato alla fine del Settecento, il quartiere era stato inizialmente e per circa un secolo popolato da tessitori, in maggioranza, ma anche da una rete di artigiani e commercianti; non mancavano le dimore di alcuni professionisti data la sua vicinanza ai Tribunali e ad altri uffici pubblici.
Questa è la realtà che esce fuori dagli archivi.
Andando avanti nel tempo, lo spettacolo, tra musica che ne scandisce il tempo e i suoi ritmi e con le parole, segue i cambiamenti di una realtà che sfocia, con molti preavvisi, ma poi improvvisamente e inevitabilmente nel disastro, nell’annullamento di una ‘onesta’ realtà sociale e nello sradicamento di intrecci lavorativi, parentali e amicali.
Già Giuseppe De Felice Giuffrida aveva invocato lo sventramento per la costruzione di un viale che collegasse piazza Stesicoro alla Stazione ferroviaria, demolendo il vecchio e ormai malfamato quartiere (e ‘deportando’ gli abitanti nelle case popolari di S. Leone); al suo posto “sarebbe sorto un grande quartiere… sul mare”
E il momento giunse a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso quando mafia, politica collusa, e speculazione edilizia passarono ai fatti: “Ci colpì vedere gli appartamenti spaccati dalle inesorabili pale meccaniche” si dicevano Baudo e Giuseppe Fava.
S. Berillo, da quartiere di onesti artigiani diventava un quartiere ‘a luci rosse’, monopolio della mafia, della malavita e della prostituzione.
Orazio Torrisi conclude: «Lo sventramento… avrebbe profondamente modificato la fisionomia, non solo topografica, del centro storico di Catania… racconto è prima di tutto un omaggio carico di poesia, rivissuto quasi autobiograficamente attraverso il sogno di Saro, personaggio ispirato dalla figura del padre. L’autore, grazie a un linguaggio crudo e vivace, fa rivivere così una Catania che non c’è più”.
E ancora la regista Gisella Calì. «Due, le linee che mi fanno da guida…Don Saro, che in quel quartiere c’è nato, cresciuto… e racconta, come un testimone.
L’altro elemento è la musica, la “Canzone italiana”…di momenti più o meno antichi. Qui la Musica è Tempo. Tempo che scorre, scandisce, lenisce e purifica”.
Peccato che la piacevole e indovinata musica faccia troppo da padrona e, pur se accompagnata da una gradevole coreografia, tenda a volte a non dare il giusto risalto alle parole come protagoniste.
Si salvano però le battute e i lunghi monologhi dei politici che vogliono dare una inoppugnabile giustificazione a questa manovra tesa ad arricchire i ricchi con le mani in pasta e a impoverire i poveri, togliendo loro tutto quel che di buono restava di quel quartiere “degradato”.
L’oro di S. Berillo e solo dei primi, delle assicurazioni, delle banche, della wall street etnea; agli altri, “deportati” o no, nulla resta della loro precedente e ‘onesta’ vita: la nuova imperante mafia e la sparatoria finale dove rimane ucciso Saro insieme alle sue memorie lo dimostra!

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