Manuela De Quarto: editor, writing coach freelance e…

Manuela De Quarto, editor e writing coach freelance, pubblica su numerose riviste letterarie e magazine culturali. Il suo libro d’esordio viene pubblicato nel dicembre 2021, il titolo è “Come treni alla Stazione“, edito da Land Editore. Il romanzo ottiene il secondo posto al Premio Giornalistico Letterario Nadia Toffa 2022 ed è tra i primi cinque finalisti al Decimo Premio Internazionale della Letteratura Città di Como, come opera d’esordio. Nell’ottobre 2021 fonda, insieme a Claudia Migliori, la prima Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling della Sicilia, ai Viagrande Studios (Catania). E’ direttrice della scuola e direttrice dell’Area Scrittura dei Viagrande Studios. All’interno del biennio, riconosciuto dal MIUR come corso ad alta formazione regionale, per la direttiva 170/2016, detiene anche la cattedra di Teoria e Tecnica della Narrazione. Dal 2023 è editor ufficiale per Land Editore, sezione narrativa autoriale. E’ da anni docente di narrazione, sceneggiatura, mindful wrtiting. Nel maggio 2024 viene pubblicato il suo racconto lungo “Sulle Note della fine del Mondo“, per Land Editore First Letter.
Qual è stato l’impulso che ti ha spinto a co-fondare la Scuola di Scrittura e Storytelling nel 2021 a Viagrande Studios?
La voglia di creare, nella mia terra, un luogo che non fosse solo una scuola, ma un laboratorio permanente di storie, idee, crescita. Una casa per chi come me non aveva ancora un luogo amico in questa terra, ma eravamo in tanti. Sentivo che qui mancava uno spazio serio, strutturato, ma anche accogliente, dove si potesse imparare davvero il mestiere della scrittura confrontandosi con professionisti veri. In fondo, la nostra isola è fucina di autori importantissimi, perché non dare al territorio una scuola dove formarsi senza lasciarla l’isola. Così è nato tutto con Claudia Migliori, la direttrice generale di Viagrande Studios che ha accolto la mia idea e ha deciso di investirci su: era il 2021. Oggi, con il trasferimento della scuola al centro di Catania, quel sogno cresce e si rafforza. Le anime che vi abitano sono le medesime, ma la volontà è quella di diventare sempre di più una possibilità concreta, strutturata e accessibile. Avremo un nome tutto nostro, Scuola Tiresia, e le persone che mi accompagnano (sia ieri che oggi) hanno fatto diventare loro il progetto. Io sono debitrice a tanta gente, che ha creduto in me in questi anni. A volte, quando c’è una sfida difficile e sono particolarmente stanca penso a loro e mi faccio coraggio per andare avanti.
Come descriveresti la tua filosofia di insegnamento della scrittura?
Credo che la scrittura si possa insegnare sì, ma non si può insegnare a essere scrittori. Si può allenare lo sguardo, la sensibilità, la tecnica. Si può far scoprire agli altri le proprie potenzialità e fragilità narrative, in quello sono molto brava. Però poi il fuoco dentro lo devi avere tu, la voglia di non arrestarti davanti alla difficoltà dello scrivere, al dolore certe volte. Per me insegnare narrazione è questo: un lavoro artigianale, serio, che richiede umiltà e costanza. E che alcune volte può creare prodotti unici.
Quali sono le abilità più importanti che cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
Prima di tutto, la lettura. Per scrivere devi leggere e saper leggere, e vi assicuro che è più dura di quanto si possa immaginare. Poi l’ascolto. L’ascolto delle storie, degli altri, di se stessi. E forse anche la capacità di leggere con occhi critici, la disciplina nell’affrontare un testo, il coraggio di riscrivere e mettersi continuamente in discussione. In realtà, scrivere in maniera seria è difficile proprio perché è un continuo mettersi in discussione. E, ovviamente, quelli che sono gli strumenti tecnici: struttura, personaggi, dialoghi, ritmo, stile, ma questa è la parte noiosa diciamo.
Come gestisci la diversità di stili e di interessi tra i tuoi studenti?
Per me è una ricchezza, non un problema da gestire. Cerco sempre di valorizzarla, senza appiattire nessuno su uno stile standard, nella nostra scuola “non devi scrivere come”, devi trovare la tua voce unica. Ognuno ha un proprio percorso, e non c’è una strada giusta e una sbagliata. C’è la tua. Il mio compito è dare a tutti una cassetta degli attrezzi solida, poi ognuno costruisce a modo suo.
Qual è il tuo approccio all’editing e come lo applichi ai libri che lavori?
L’editing è per me un atto di cura, lo faccio da anni è una delle parti più bella della mia vita. Non deve essere mai un intervento autoritario, bensì bisogna entrare nel mondo dell’autore con rispetto, ma anche con onestà. Mi sporco le mani con la storia, cercando di far emergere la versione migliore possibile del testo, senza snaturarlo. Parlando con l’autore, spronando lui spesse volte alla riscrittura. Quando un’opera arriva ad un editor dobbiamo ricordare che qualcuno non ha dormito la notte per scriverlo, magari ha pianto su quel testo, ha riaperto ferite. Il rispetto deve essere la chiave di tutto.
Come fai a decidere quali libri editare e quali no?
Con fatica e responsabilità. Guardo alla storia in primis, poi alla qualità della scrittura, ma anche alla tenuta narrativa, all’originalità, e, non da ultimo, al margine di crescita che intravedo. A volte un manoscritto acerbo può diventare un gran libro, se c’è chi lo accompagna bene. Negli altri casi parlo sinceramente con l’autore e gli faccio presente che io non sono la persona giusta per lui.
Qual è il processo di revisione e editing che segui per i libri che lavori?
Affronto l’editing sempre in più fasi. Prima l’editing strutturale: trama, struttura, coerenza. Poi si passa al lavoro sullo stile, sulla lingua, sui dettagli: tutto ciò che è ritmo e voce. E infine rivedo tutto in coerenza, contesto storico e veridicità. Tutto in strettissimo confronto con l’autore.
Come collabori con gli autori per migliorare i loro manoscritti?
Con dialogo costante, ascolto e sincerità. Non impongo mai, ma non edulcoro neanche i difetti. Cerco di costruire un rapporto di fiducia, dove la critica è sempre finalizzata alla crescita del testo e quindi dell’autore.
Quali sono le sfide più comuni che incontri quando lavori con gli autori?
La paura di cambiare il proprio testo e, a volte, l’eccesso di attaccamento a elementi che non funzionano. Ma questo è normale. La scrittura è un atto intimo, lasciare che qualcuno ci metta le mani dentro richiede fiducia e tempo.
Qual è il tuo consiglio per gli scrittori emergenti che vogliono pubblicare il loro primo libro?
Non avere fretta. Lavorare sul testo finché non è solido, accettare i feedback, leggere tantissimo e non smettere mai di migliorarsi. Bisogna capire che la pubblicazione non è il punto d’arrivo, è l’inizio del percorso.
Come vedi il futuro della scrittura e dell’editoria?
In evoluzione, come sempre. Cambiano i canali, cambiano i formati, ma il bisogno di storie resta. È innato negli esseri umani, questo non cambierà mia. Bisogna sapersi adattare, senza svendersi, e mantenere alta la qualità, anche nel caos delle autopubblicazioni (che a volte stupiscono per la qualità) e dei social.
Quali sono le tendenze attuali nella scrittura e nella pubblicazione che ti interessano di più?
Mi affascinano le contaminazioni tra generi, le storie ibride, la narrativa che dialoga con il giornalismo o il memoir. E anche il ritorno della scrittura breve, i racconti, le microstorie che trovano nuova vita. Io adoro i racconti di una pagina, ci vuole una bravura unica per scriverli.
Come gestisci il tuo tempo tra la scrittura, l’insegnamento e l’editing?
Male! A parte gli scherzi, è un equilibrio molto precario, ma a me piace vivere di scrittura in tutte le sue forme. E anche vivere sull’orlo dell’esaurimento nervoso non mi dispiace. L’insegnamento mi nutre, l’editing mi stimola, la scrittura personale è il mio spazio intimo. Poi c’è la famiglia, mia figlia che inaspettatamente è diventata il motore di tutto.
Come trovi l’ispirazione per i tuoi romanzi? Parlaci un po’ delle tue recenti “fatiche” letterarie…
Spesso dall’osservazione del mondo, dei giornali, dei forum di storia. Dai dettagli minuscoli, dai silenzi delle persone, dalle storie dimenticate. Il mio ultimo romanzo, che uscirà nel 2025, racconta proprio una storia vera poco conosciuta. Credo che questa storia sia stata lei ha incontrare me, in realtà. E poi continuo a lavorare su poesie e racconti, perché le parole non si fermano mai.
Quali sono i temi e le idee che ti appassionano di più nella tua scrittura?
Le storie di chi resta ai margini, i destini spezzati, i legami familiari, l’identità, ma anche la fine della giovinezza. Mi interessa esplorare le crepe, i punti fragili, le scelte che definiscono chi siamo.
Come gestisci la critica e il feedback sui tuoi scritti?
Io adoro la critica, la gestisco con consapevolezza. Ovviamente solo quella costruttiva, vorrei che anche i miei studenti o i miei autori capissero l’importanza che hanno quando sviluppano nell’altro delle osservazioni critiche e argute. Amo molto meno le offese gratuite, resto sofferente, vorrei dire indifferente, ma ci sto lavorando.
Qual è il tuo consiglio per gli scrittori che vogliono migliorare la loro scrittura?
Leggere tanto e bene, tutto. Scrivere tanto e male, per poi riscrivere meglio. Cercare chi può guidarvi, senza perdere la vostra voce, potrebbe essere una scuola di scrittura, un corso, un mentore, un professore del liceo… E soprattutto, accettare che si migliora solo con il tempo e il lavoro costante. Ah, e con le critiche.
Come vedi il ruolo della scuola di scrittura nella comunità letteraria?
Rispondere a questa domanda alla luce delle recenti notizie uscite sui social è ancora più complicato di prima. La vedo come un presidio, nn luogo che forma, connette, fa crescere, fa ritrovare se stessi. Non solo tecnicamente (quella è la minima parte), ma anche umanamente. L’obiettivo non è essere una torre d’avorio, ma un laboratorio fra la gente che mangia storie. Uno spazio vivo, aperto, dove le storie possano nascere, crescere, e trovare il loro posto nel mondo.