L'Opinione

La brutalità dello stupro è una ferita sociale, non un pretesto politico

Quello che colpisce dello stupro avvenuto alla Villa Bellini, in pieno centro della nostra città di Catania, è la brutalità ferina con cui è stato compiuto. Una brutalità che va oltre ogni limite umano e che catapulta inevitabilmente a un livello animalesco tutti e sette gli autori.

Di fronte a un’azione simile non basta aggrapparsi ai diffusi comportamenti patriarcali per tentare di trovare una giustificazione che permetta di comprendere, perché una giustificazione non esiste. Qui non si tratta di una semplice prevaricazione maschile nei confronti di una donna ma di una violenta sopraffazione contro un altro essere umano, abusato nella sua dignità più intima.

Una violenza gratuita, ignobile, messa in atto con la banalità della propria indifferenza, con l’arroganza della propria bestialità.

Ci sono uomini che non lo sono, sono maschi rimasti allo stadio primitivo, che agiscono seguendo solo le proprie pulsioni fisiche e non serve a niente puntare il dito contro la diversa razza o la differenza di cultura, così come stanno sottolineando con insistenza gli schieramenti di destra, dimenticando volutamente che questi non sono fattori determinanti, basti ricordare che l’estate scorsa a Palermo altri sette ragazzi, tutti e sette italiani, hanno aggredito sessualmente una ragazza di diciannove anni.

Pur variando il contesto e le dinamiche, la ferocia della prevaricazione è la stessa, come è uguale la totale mancanza di empatia nei riguardi della donna, utilizzata come un pezzo di carne qualunque su cui poter sfogare, senza alcun senso di colpa, i propri istinti.

Così come non serve a nulla sottacere la provenienza degli stupratori, come invece stanno omettendo gli schieramenti di sinistra, dimostrando che nessuna delle due parti ha compreso, o piuttosto preferisce non attenzionare perché non rispondente  agli obiettivi di partito, che non si può ridurre la problematica al  solo livello politico basandosi su un inutile aspetto esteriore, quando invece coinvolge una realtà sociale ben più complessa e profonda che si può riassumere nella mancanza totale di una cultura del rispetto e, viceversa, di una persistente cultura del maschio e della sua sessualità ostentata.

La violenza di questi stupri di gruppo evidenzia in modo preoccupante la ferocia di uomini ridotti a bestie selvagge che aggrediscono per affermare una forza bruta e incontrollata.

Una forza bruta che, a Catania, ha particolarmente ferito e umiliato l’intera città, poiché si è verificata poco prima che iniziassero i festeggiamenti in onore della santa Patrona Agata. Un’altra giovane ragazza vittima del desiderio di possessione animalesco del proconsole Quinziano.

Una storia arcaica, persa nei secoli, trasformata dalla leggenda, che però testimonia una cultura del possesso che ha attraversato il tempo indenne e che ancora oggi permane in diverse sacche della società, nonostante i progressi culturali e tecnologici.

Cambiano le epoche storiche, cambiano i paesi di appartenenza, ma quello che non cambia mai è la riduzione della donna a un oggetto di piacere.

Questo è l’unica certezza su cui dovrebbe concentrarsi ogni attenzione e ogni sforzo per una cultura effettiva di rispetto reciproco.

Bisognerebbe porre in primo piano la tragedia vissuta da questa ragazzina di soli tredici anni, sulla sua così come di tutte quelle prima di lei, bisognerebbe preoccuparsi delle conseguenze psicologiche che si porterà dietro per il resto della sua vita, poiché questa ragazza poco più che bambina, ha provato sulla sua pelle la disumanità del male di un altro essere umano.

Invece, senza alcun rispetto per lei e senza alcun imbarazzo, questo stupro è stato politicizzato ed è stato trasformato in una querelle, amplificata dai colori politici delle varie testate giornalistiche, in un vero e proprio scontro tra la politica di accoglienza di massa della sinistra e la politica di chiusura all’immigrazione della destra.

Uno scontro politico sterile che non mira a trovare soluzioni, ma solo a inasprire una situazione già in bilico.

Ma questo eterno teatrino di second’ordine non ci sorprende più, abbiamo smascherato gli intenti celati dietro a queste inutili polemiche che non portano a nulla di concreto.

E a noi, comuni cittadini, non resta che assistere sgomenti a femminicidi sempre più efferati e a stupri sempre più perversi che ci lasciano in uno stato di profondo e amaro smarrimento che non ci permette di capire che, se non vogliamo lasciarci sopraffare da tutta questa brutalità, dobbiamo rimboccarci le maniche tutti insieme, uomini e donne. Dobbiamo lavorare fianco a fianco verso un reale cambiamento culturale per sradicare modelli di comportamento lesivi della dignità delle donne ma anche degli uomini stessi.

E questo possiamo farlo solo noi, cittadini della nostra società, perché la violenza di genere è una ferita sociale che la politica non può permettersi di manipolare per puro piacimento propagandistico.

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