L'Intervista

Gabriele Vitale, una vita per la recitazione

Gabriele Vitale, attore apprezzato da pubblico e critica per le sue interpretazioni in diversi ambiti recitativi, divide il suo tempo tra cinema, teatro e televisione con uno stile profondo e un’impronta personale di grande spessore. Un connubio di bravura, dedizione e preparazione che contribuisce a trasmettere al pubblico le emozioni, il carattere e le intenzioni di ogni personaggio, interpretandoli in modo diretto e mai costruito. Abbiamo avuto il piacere di parlare con lui in un’intervista in cui, come un proiettore in un cinema, si è raccontato a cuore aperto, parlando delle sue prime esperienze fino ai suoi obiettivi attuali, passando per i traguardi del presente.

Può raccontarmi del suo debutto nel mondo della recitazione. Chi o cosa le ha fatto capire che quella intrapresa era la strada giusta?

Debutto a teatro in Sicilia all’età di 17 anni. Ricordo la quiete interiore che raggiunsi appena entrai in scena, ovvero varcai la soglia di una finta porta. Ecco quel momento esatto nella mia vita fu cruciale, lì suonò in me un campanello d’allarme, da allora iniziai a capire che forse era quello ciò che avrei voluto fare per sempre. La mia mente non fatica a ridisegnare quegli anni, il gruppo, i primi copioni da imparare a memoria e che via via ottenuta la fiducia dei registi, divennero sempre più ricchi di battute. Rammento bene l’ingenuità e le prime ansie da palcoscenico che ne rivestivano il tutto come un soprabito. Ho avuto la fortuna di far parte della vecchia scuola e di aver messo subito in pratica i miei studi di arte drammatica con l’ammissione in accademia. Ricordo quanta preparazione rilegata a sacrifici prima di presentarsi davanti al pubblico spettatore e l’amore per questo lavoro sin dai primi anni di studio, questo tuffarsi a capofitto nella prova, nella scoperta di sé stessi, quando bisognava soprattutto sbagliare e riprovare più e più volte, perché a un attore non serve tornare a casa saccente con gli abiti puliti e profumati. Ricordo quando dall’accademia con i colleghi si rincasava con quella sensazione di sentirci un po’ “ignoranti e dubbiosi”, per poi rifletterci sopra, rimuginare e approfondire. Era la bellezza di imparare che spero non si perda mai col passare degli anni, come quando in una storia d’amore conclamata nel tempo, si fa di tutto per tenere viva l’emozione dei primi appuntamenti.

Quale è stata la sua formazione?

Mi formo a partire dal 2011 con Fioretta Mari ed altri credibili nomi dello spettacolo italiano che in quei proficui anni ruotavano attorno la sua stimata direzione artistica. Ricordo con emozione che per la supervisione alle coreografie dei nostri spettacoli, entrava in classe Raffaele Paganini, solo per citarne uno. Ho ancora davanti agli occhi la stima vicendevole tra allievi ed insegnanti, l’alto giudizio e qualificata nomea nel rapporto accademico che c’era tra tutti. Questa voglia di donare a noi ragazzi i segreti del mestiere, per il nostro futuro lavorativo di attori e performers.  Insegnamenti custoditi gelosamente e che in questi tempi così veloci e per tale motivo oserei definire “impreparati” che stiamo vivendo, sono fruttati nel loro valore. 

Fra i vari registi importanti con cui ha collaborato con chi ha avuto maggiore affinità?

Con tutti. Credo che l’affinità si riesca a creare veramente con tutti e che questo avvenga in quel preciso istante in cui ti annulli per il bene degli altri e del lavoro che stanno dirigendo. Sia chiaro che per annullarsi non intendo spegnersi o mettersi da parte oppure ancora farsi screditare. Intendo abbattere quell’essere prevenuti mentre si lavora su quelle idee che non sono tue, riuscire ad abbassare la guardia e mettere in standby le proprie teorie per dar spazio a quelle altrui e dunque accogliere tutte le direttive che ti chiederanno e daranno in un film o uno spettacolo. Consigli e istruzioni di un regista che cogli se ti sintonizzi sul suo stesso piano d’ascolto. Significa collaborare.  Ecco già questo crea un’affinità e perché no, anche il mettere da parte la propria forma mentis, riuscendo a plasmarti in ciò che ti chiede e desidera nella sua visione artistica e lavorativa. Tutto questo non è facile e lo comprendo perfettamente, anche perché oggi la società incentrata sull’Io non aiuta affatto a comprendere questo ragionamento. Resto infatti dell’idea che recitare sia l’ultimo dei doveri che un attore è chiamato a compiere, il suo prodotto finale dato da un’equazione molto più densa di fattori. C’è prima un mondo e forse questa consapevolezza si sta sempre più perdendo strada facendo. 

Ha mai pensato alla regia?

Si! Ma come in tutte le cose mi piace partire dal basso, salire poco a poco i gradini e non bruciare le tappe dell’esperienza anche su questo ramo, che sto facendo crescere attraverso i piccoli ma significativi lavori che talvolta dirigo in prima persona. Amo la regia perché mi permettere di poter osservare i colleghi attori e più in generale gli artisti da un’altra prospettiva, quindi non solo attraverso le mie masterclass con un mio programma di studi ma potermi prendere cura di loro sul fatto compiuto. Tanti non lo sanno ma detto a mio discapito e in maniera riduttiva, curo la “presenza scenica” di cantanti prima di affrontare performances di una certa rilevanza e valenza artistica, scrivendo anche per loro, qualora mi viene specificatamente richiesto, dei brani inediti, ultimamente premiati dalla critica anche al Festival Costarena di Bologna, lavori che mi vedono autore e compositore. Facendo una confessione ai lettori di questa intervista, negli anni ho portato pure alcuni artisti emergenti alla vittoria di concorsi canori con accesso ai più prestigiosi Festival nazionali. Ecco, anche questo lavoro di preparazione è donare loro una direzione registica individuale. Nonostante ciò, anche quando invento uno storytelling, scrivo un cortometraggio o un videoclip musicale, mi domando sempre se sono o meno all’altezza di firmarne ancora una volta la regia. C’è da dire che tutto ciò non prende il sopravvento sul primo vero poto, ossia il mio lavoro d’attore, che poi è quello che svolgo in prima mansione. 

Altra sua passione è il teatro. Ha riscontrato differenze tra il fare televisione e teatro? 

Quel che dirò fa fede soltanto ad un mio soggettivo pensiero. Credo ci siano delle differenze sottili ma nello stesso tempo abissali che sempre meno colleghi vogliono ammettere. Il cinema ha dei tempi di recitazione e una musicalità che il teatro non possiede e viceversa. Voglio sfatare un mito quando si sente dire: “Gli attori di teatro sono più bravi degli attori di cinema”, non è assolutamente vero e il contrario ne risulterebbe ugualmente inefficace.  E’ una frase troppo generica, quasi da bar.  Diffido sempre da chi la pronuncia e mi induce a pensare inesperienza e superficialità. Se proprio dovessimo dirla tutta, un attore di teatro può semmai avere l’attitudine di non fermarsi e non dover ripetere una scena, essendo il teatro un luogo dove davanti ad una platea si è avvezzi se non obbligati al “buona la prima”.  Potrebbe quindi risultarne una garanzia per il regista quando quest’ultimo gli assegnerà lunghi monologhi davanti alla telecamera o scendendo più in una terminologia tecnicistica, quando si dovrà registrare in un solo piano sequenza. Tutto ciò però lascia il tempo che trova se poi oltre tale qualità non si possiede la musicalità e i tempi del cinema o della tv. Insomma il lavoro ne risulterebbe fittizio.  Mi auguro invece che si riesca man mano a parlare solo di “attori”, senza farne più specifiche differenze, sbloccandoci e modernizzandoci nei pensieri vecchio stampo. L’attore deve essere bravo, punto. Ci sono cari colleghi come Alessandro Haber o Mariagrazia Cucinotta ad esempio, che mi hanno trasmesso tanti insegnamenti solo recitando al loro fianco e fattomi capire che in teatro o al cinema non esistono piccoli ruoli ma solo piccoli attori. Nella speranza di non essere noi questi ultimi. 

Quale pensa sia il destino del teatro?

Un amico non poco tempo fa mi fece tristemente riflettere sulla criticità del doppiaggio, nella possibilità di rimanere o meno un lavoro da qui ai prossimi cinque/dieci anni. Tutto ciò a causa dell’intelligenza artificiale già in grado di far parlare persone straniere nella nostra lingua, pur mantenendo la loro stessa voce e un labiale artefatto ma sempre più eccellente e veritiero nell’immagine che ci restituisce. Mi entusiasma ma al contempo spaventa pensare cosa riuscirà a fare A.I. nel futuro. Appurato ciò, non lo dico perché di parte ma credo che il Teatro sia una delle poche arti sceniche e forse anche mestieri a non essere sopraffatto o addirittura sostituito da questo progresso dei tempi che preferiscono un computer all’uomo.  Al di là della loro spettacolarità e sempre più somiglianza a noi umani, (chapeau agli ingegneri) i robot possono sostituire l’uomo nelle sue velocità di automazione ma non potranno mai ritrarlo nel suo calore epidermico o in una tachicardia e poi ben sappiamo che le emozioni della nostra vita sono date proprio da questo battito accelerato del cuore e non da un algoritmo o una CPU come oggi vorrebbero indurci a pensare. Dunque credo che il Teatro, con le sue opere ed i suoi attori in carne e ossa sia destinato a non morire mai.  

Nella sua vita cosa avrebbe fatto se non fosse diventato attore?

Credo che se ci fermassimo ognuno a pensare solo un attimo, rifletteremo del fatto che la vita sia sempre una continua costante di variabili, più mutabile del clima stesso e che siamo noi stessi, costantemente, in una progressione evolutiva. Lo vediamo attraverso le notizie che ogni giorno giungono dal mondo. Quindi il suo verbo “diventato” nella domanda lo vedo perpetuamente aperto alla coniugazione futura “diventerò”, perché sempre tutto un divenire incalcolabile, in quanto la vita stessa poi che ci porta ogni giorno a diventare qualsiasi cosa si è chiamati ad affrontare. Se posso permettermi una licenza poetica, a diventare noi in primis i nostri stessi pensieri. Sono un attore è vero e proiettandomi in avanti nel tempo mi rivedo sempre un attore, anzi se posso permettermi una confidenza, un uomo sempre più affermato sul lavoro ma, come disse Pirandello: “Chissà fra venti, trent’anni che sapore acquisterà? Che gusto? È la vita!”.

Quali lavori la vedranno impegnato nel 2024?

Sto lavorando a vari progetti e tra i prossimi il Film dal titolo “Sotto le Stelle di Roma” girato nella capitale e che mi vedrà comporre il Cast artistico. Lavoro scritto da Massimo Benenato figlio dell’attore Franco Franchi che ha tracciato parte di storia nello spettacolo italiano e avrò anche il piacere di essere diretto da Giuseppe di Giorgio. Poi da qui a fine anno, vari spettacoli teatrali, alcuni saranno nuovi altri già portati in scena. Questo 2024 prenderò parte a più lavori cinematografici ma purtroppo per motivi contrattuali non ne ho facoltà di parola. Posso premettere però che all’interno ci saranno anche dei lavori dove darò manforte a giovani registi che saranno il futuro perno della cinematografia italiana, fautori di messaggi, idee e tematiche cinematografiche davvero brillanti e di denuncia, che meritano una luce puntata sulle loro scritture e che mi sono promesso di sostenere sempre. 

Gabriele Vitale nasce a Catania il 9 maggio 1990, consegue i suoi studi artistici presso “L’Artacademy Carrara” direzione artistica Fioretta Mari, dove studia e si perfeziona con tanti professionisti del panorama artistico italiano. Viene diretto da Christophe Tassin e Samad Zarmandili mentre interpreta il malavitoso Marco Pesce in “Squadra Antimafia 6”, al fianco di Paolo Pierobon. Lavora al doppiaggio italiano nel film “A Mountain Between Us” firmato 20° Century Fox diretto in sala da Ida Sansone. E’ nel cast del nuovo film di Aurelio Grimaldi “La Divina Dolzedia”, dove interpreta Filippo, insieme agli attori Guia Jelo, Mario Opinato, Jacopo Cavallaro, Simona Izzo, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina, premiato al Taormina Film Fest .E’ uno dei protagonisti del film “Un Difficile Perdono” il nuovo lavoro cinematografico del regista Salvo Bonaffini, per la fotografia di Nino Celeste, nelle vesti del commissario di polizia Antonio Barresi. Su Ra1 è concorrente nel programma Forte Forte Forte di Raffaella Carrà per la regia di Sergio Japino.

E’ lui ad ottenere il primo premio nazionale intitolato all’attore Turi Ferro, con annessi premi: pubblico e critica. Al teatro Parioli di Roma, è il regista Daniele Falleri a consegnargli il primo premio per la prosa come attore italiano nel contest nazionale ACT Italy diretto da Manuela Metri e con la presenza straordinaria di Anna e Vicky Strasberg, direttrici del Lee Strasberg Institute di New York e Los Angeles.

Gabriele è anche uno speaker televisivo/radiofonico e autore/compositore musicale dei suoi brani e opere audiovisive. Ultimamente è stato accolto dal Senato della Repubblica Italiana a Palazzo Madama per la prima nazionale del mediometraggio “Io & Freddie” coadiuvato dal prestigioso cast composto da Alessandro Haber, Mario Opinato, Stella Egitto e Luca Villaggio. E’ grazie allo stesso lavoro audiovisivo che Gabriele dentro i panni del protagonista Andrea ottiene il Premio Troisi 2022, Il London e New York Movie Award, la nomination al Florence Film Festival (come attore protagonista) e una seconda nomination al Piff (Puglia International Film Fest).

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