Spettacoli

Teatro Stabile, si conclude con “La Chunga” la trilogia dedicata a Mario Vargas Llosa

È in scena alla Sala Verga “La Chunga” di Mario Vargas Llosa, regia Carlo Sciaccaluga, regista assistente Alice Ferranti, scene Anna Varaldo, costumi Anna Verde, luci Gaetano La Mela; con Debora Bernardi (Chunga), Francesco Foti (Josefino), Francesca Osso (Meche), Valerio Santi (Lituma), Giovanni Arezzo (Scimmia), Pietro Casano (Josè). Produzione Teatro Stabile di Catania, Teatro di Roma – Teatro Nazionale.

Si chiude con “La Chunga”, dopo “I racconti della peste” e “Appuntamento a Londra”, la trilogia dedicata dal Teatro Stabile a Mario Vargas Llosa, Premio Nobel per la Letteratura 2010, recentemente scomparso
Sembra confermarsi, ancora una volta, che è il teatro la vera passione dell’autore, più della narrazione che lo ha reso, forse, maggiormente famoso.
È quanto dichiarava tempo fa lo stesso Mario Vargas Llosa in un’intervista che mi concesse in passato quando scelse Catania per la prima assoluta de “I racconti della peste” in Italia, dopo il debutto in Spagna.
Col suo sorriso sornione, dall’alto dei novanta e più anni e dei suoi tre matrimoni, generosamente mi narrò la sua vita fin dal primo incontro, a dieci anni, con il padre che si sarebbe fortemente opposto alla sua vocazione letteraria e teatrale (‘gli scrittori sono dei perditempo!’) imponendogli la scuola militare: è con grande soddisfazione che ricevette un omaggio dal capo di quella stessa scuola a Stoccolma durante la cerimonia del Nobel!
In Perù nella sua giovinezza, tuttavia, non c’era un vero e proprio movimento teatrale.
Non aveva dunque, il nostro autore, una compagnia con cui poter realizzare concretamente la sua vocazione: la vita lo avrebbe ampiamente ricompensato anche in altri campi, come la sua esperienza politica in un momento storico molto violento:
“Sono stato vicino alla presidenza del Perù…per fortuna non giunsi alla meta perché mi avrebbero ucciso…il presidente designato ha trascorso 30 anni in carcere…”
La Chunga, tratta dal romanzo “Casa Verde” del 1966 (la Chunga era un personaggio secondario) fu portata in scena per la prima volta a Lima nel 1985, e rimane la pièce di Vargas Llosa più conosciuta e rappresentata in Italia e in tutto il mondo.
Lo spettacolo affronta il tema dell’eros, del femminile nel desiderio maschile, e non solo, della omosessualità, della mercificazione della donna, della violenza, dell’immaginario e del mistero.
Come in uno specchio deformante la realtà si trasforma nel racconto.
Qual è la verità? Ciò che accade o ciò in cui si crede?
È quanto afferma il regista Carlo Sciaccaluga, genovese, figlio d’arte, eclettico, famoso a livello internazional, nelle sue note di regia: “La narrazione crea verità. E la letteratura è sempre vera…Questo è il potere del racconto… Narrazione, lussuria, sensualità trasfigurate… rivelano un universo maschile lacerato: ora dominato dal desiderio di possesso e controllo, ora dall’asservimento idolatrico al ‘femminile’. ..dove l’immagine della donna non è mai neutra, mai reale, sempre inquietante. La mediazione tra queste due percezioni del femminile da parte del maschile rimane irrisolta nella nostra cultura. E gli esiti di questo fallimento sono troppo spesso tragici, e quasi sempre dolorosi, ingiusti, violenti”.
Qual è la verità di quella sera in cui Josefino, giocatore perdente, per continuare la partita a dadi con i suoi amici chiede un prestito di tremila soles alla Chunga, nata nel bordello chiamato Casa Verde? La ‘ieratica’ padrona del bar che sorge nella sabbiosa periferia della peruviana Piura in cambio ottiene la bella amante del debitore, Meche, per tutta la notte.
Ma cosa avvenne in quella camera da letto?
Meche sparisce insieme alla ‘sua’ verità, la Chunga tace sino alla fine quando, facendo prevedere un finale diverso, urlerà: a domani Mechita!
A noi non resta che credere, dubitando, ai racconti dei quattro giocatori (José, Lituma, Josefino e Scimmia) – specie di Josefino che vuole sbandierare il suo ruolo di macho/padrone – ritrovatisi nuovamente al bar della Chunga a distanza di anni, nel 1945.
Le quattro versioni diverse dei fatti, tra desiderio e immaginazione, verità e menzogna, prendono corpo in una scena sovrapposta e velata, esprimendo il carattere, il sottile desiderio di ogni singolo attore, un desiderio che si trasforma in immaginaria interpretazione dell’accaduto.
Dominante la protagonista nella magnifica recitazione di Debora Bernardi che, con eleganza rivela la sua omosessualità, il suo innamoramento, la protezione quasi materna nei confronti della fascinosa e brava Mechita, impegnata in un difficile ruolo, nella perlustrazione di nuove e inquietanti realtà.
La pièce, in conclusione, rappresenta una profonda e costante sintesi di tutta la letteratura di Mario Vargas Llosa, il cui stile regala sempre al lettore e allo spettatore il fascino del mistero.
Tra reale e immaginario, verità e racconto si snoda la vicenda ‘llosiana’ che, come in un gioco di specchi, ci invita all’introspezione e al dubbio conducendoci verso una sorta di ‘catarsi teatrale’.

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