L'Opinione

La sedia vuota di Giulia

Quella sedia vuota davanti alla commissione di laurea è tutto quello che rimane di Giulia, il vuoto dei suoi sogni e del suo futuro che non si concretizzeranno mai nella realtà da lei chissà quante volte immaginata.

Giulia è stata inghiottita dalla brutalità prevaricatrice del “bravo ragazzo” che diceva di amarla.

Nello smarrimento attonito per questo atroce ed ennesimo dolore, l’unica certezza è che, così come le altre volte, questa morte insensata e assurda si poteva evitare se solo ci fossimo accorti di lei e del suo dramma personale.

La sua morte è un’altra ferita inferta alla nostra società, che stritolata dall’ossessiva ricerca e soddisfazione dei bisogni individuali, sempre più spesso trova comodo girarsi   dall’altra parte, dimenticando che tutte le volte che la vita di una giovane donna viene così brutalmente spezzata, la responsabilità è di tutta la collettività che ancora  sottovaluta determinati comportamenti maschili giustificandoli come espressione di “troppo amore” quando invece si tratta solo di possesso e sopraffazione violenta.

Di una collettività che accetta, senza ribellarsi, immagini di corpi nudi di donne, utilizzate come richiami sessuali degni di tribù primitive senza l’uso della parola.  Questa accettazione passiva della donna come oggetto di divertimento e di piacere si tramuta inevitabilmente in una colpa generale che contribuisce ad alimentare quella cultura maschilista di cui tanto ci lamentiamo ma che, consapevoli o meno, continuiamo a tenere ben radicata.

La nostra “allegra” società, contraddittoriamente e ipocritamente, si spaccia garante di diritti e di pari opportunità con l’arroganza della sua sfacciata modernità mentre continua a commercializzare il corpo delle donne come merce da vendere al miglior offerente, come oggetti sacrificabili in nome del profitto senza preoccuparsi delle conseguenze etiche e morali.

Siamo tutti colpevoli, le madri che, vittime di un patriarcato inconscio, non riescono a trasmettere ai propri figli maschi il valore del rispetto, ma anche e soprattutto di quegli uomini che continuano a sorridere e a considerare solo come goliardiche le battute sessiste di gruppo, dimostrando di non comprendere che questo conduce, pericolosamente, a comportamenti che degenerano in atteggiamenti sessisti.

Avvalorare discussioni a sfondo sessuale sulle donne o commenti piccanti sul loro aspetto fisico, significa contribuire a perpetrare quel retaggio patriarcale che legittima ogni forma di superiorità maschile nei confronti delle donne e le riduce a oggetti.

Ed è perfettamente inutile quanto beffardo sostenere che non risponde alla realtà che quotidianamente le donne sono costrette a subire. Basta andare sull’impietoso specchio della nostra società, i social, e leggere i commenti di certi maschi sotto le foto di donne, per rendersi conto di quanto arrogante maschilismo siano impregnati. E quello che è veramente aberrante e al tempo stesso umiliante, è che questi commenti sessisti sono diretti a foto di donne che non sono nude o in pose ammiccanti ma che le mostrano impegnate nello svolgimento del proprio lavoro.

 Non importano le loro competenze, professionalità o intelligenza, sono solo corpi, oggetti su cui scaricare ogni tipo di frustrazione maschile in modo da potersi sentire realizzati nella propria vergognosa mascolinità.

Uomini che si sentono al sicuro, protetti da una società che, a gran voce, condanna ma che nella realtà dei fatti tollera e giustifica.

Filippo e tutti gli altri prima di lui e quelli che, purtroppo domani e domani ancora, uccideranno senza alcun rimorso le proprie donne, sono figli di questa nostra società.

Non sono folli assassini o mostri da additare con orrore, sono uomini lucidamente coscienti, perfetti eredi di quella cultura misogina e prevaricatrice che li vuole a ogni costo dominanti e vincenti e che li spinge a considerare come segno di debolezza il mostrarsi empatici. Sono uomini che si arrogano la pretesa di possedere una donna, che si sentono autorizzati a privarla delle sue libertà, delle sue azioni e dei suoi stessi pensieri e che decidono freddamente di ucciderle nel momento in cui si rendono conto di non poter più esercitare il proprio dominio.

Filippo e gli tutti gli altri sono il naturale prodotto di una società fragile, che non riesce a scrollarsi di dosso la pesante coltre che il patriarcato del passato che le ha gettato addosso. Vergognosamente fiera di questa cultura, esalta spudoratamente una presunta quanto irreale superiorità maschile, imponendo in ogni settore lavorativo e professionale un potere fatto di soli uomini che non permette alle donne di emergere per le proprie capacità.

Per non vedere più sedie vuote, dovremmo seriamente procedere a una revisione collettiva delle coscienze per incanalarci finalmente verso quella svolta culturale che ci permetterà di dare un valore vero al rispetto e alla reciprocità.

Ma lo faranno tutti questi uomini che, pubblicamente, si stracciano le vesti per ogni donna uccisa, ma che fino ad adesso hanno tenuto saldamente stretto in mano il proprio potere?

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