Spettacoli

La musica di Marco Tutino per due giganti della letteratura: Verga e Pirandello

Dall’1 al 9 marzo sono andati in scena al ‘Bellini’, su musica di Marco Tutino. due melodrammi tratti rispettivamente da una novella di Giovanni Verga e da una commedia di Luigi Pirandello: La Lupa e Il Berretto a sonagli.
“La Lupa” è un melodramma (dalla novella di Giovanni Verga) in un atto e due quadri edito da Sonzogno su libretto di Giuseppe Di Leva, interpretato da: la Lupa: Nino Surguladze/Laura Verrecchia; Mara: Irina Lungu/Valentina Bilancione; Nanni Lasca: Sergio Escobar/Rosario La Spina; il maresciallo: Vittorio Vitelli; Gloria: Giuliana Distefano; Lia: Mariam Baratashvili; Pino: appuntato di Pubblica sicurezza Pietro Picone; Nicola: appuntato di Pubblica Sicurezza Marco Puggioni; Salvatore: appuntato di Pubblica Sicurezza Enrico Marrucci.
In prima esecuzione assoluta Il Berretto a sonagli. Melodramma (dalla commedia di Luigi Pirandello) in un atto e due quadri su libretto di Fabio Ceresa edito da Ricordi interpretato da: Ciampa: Alberto Gazale; Beatrice Fiorica: Irina Lungu/Valentina Bilancione; Assunta La Bella: Nino Surguladze/Laura Verrecchia; Fifì La Bella: Sergio Escobar/Rosario La Spina; Fana: Anna Pennisi; Spanò: Rocco Cavalluzzi. Direttore Fabrizio Maria Carminati
Regia e scene: Davide Livermore, Eleonora Peronetti; scenografie digitali D-Wok; costumi Mariana Fracasso; luci Gaetano La Mela; regista assistente: Sax Nicosia; direttore allestimenti scenici: Arcangelo Mazza. Nuovo allestimento del Teatro Massimo Bellini; Orchestra e Tecnici del Teatro Massimo Bellini.
Dichiaro a priori un mio limite: non sono un’entusiasta delle contaminazioni; ma confesso anche di essere una gran curiosa in campo culturale.
Superando, a volte con fatica, i preconcetti mi piace tastare il polso alla contemporaneità, accostarmi ai sentieri del ‘nuovo’ riservando a dopo il mio giudizio, a lettura/visione/ascolto conclusi.
Se al teatro di Siracusa amo sentirmi una greca del V secolo a.C. rapportando il pensiero classico all’oggi dentro di me senza subire la violenza del regista, se mi disturba la letteratura postmoderna, se non preferisco la pittura astratta, non significa che non mi piaccia accostarmi al cammino delle varie espressioni artistiche fino agli esiti contemporanei senza escludere un giudizio positivo.
È questo il caso del dittico proposto dall’1 al 9 marzo dalla ‘governance’ del nostro Teatro, guidata dall’ottimo sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano che, insieme al maestro Carminati, porta avanti con decisione l’attualità di commissioni, come questa, che propugnano significativi valori sociali: un progresso al passo con i tempi e con il gusto di un ‘nuovo’ pubblico.
In questa direzione, totale è l’accordo con il Sindaco Enrico Trantino interessato soprattutto alle ricadute in termini socio-politici: “Ogni linguaggio – ha sottolineato– può servire per opporsi: il rifiuto dell’omertà mafiosa, il coraggio della denuncia, la lotta contro gli abusi e la disparità di genere… Compito dell’arte è anche quello, oltre a costituire uno svago per i cittadini, di porre domande e sollecitare riflessioni sul nostro presente”. Anche all’assessore regionale al Turismo Sport e Spettacolo Elvira Amata è piaciuto cogliere “il messaggio etico e civile che emerge dall’opera, quello di denunciare: parola d’ordine contro ogni sopruso e illegalità”.
L’idea dello spettacolo nasce, per affermazione dello stesso Carminati, dall’antica amicizia che lo lega al compositore Marco Tutino (“Anche la musica seguirà fedelmente quella che è l’idea centrale dell’opera”) unita all’ambizione di entrambi di osare il rinnovamento del melodramma e la rivisitazione di due capisaldi della letteratura siciliana. Felice la collaborazione con il regista e scenografo Davide Livermore (“è una grandissima occasione per parlare dell’oggi… Chi può cambiare il mondo sono le donne”).
“Il tetro è arte – dichiara il regista nell’intervista concessaci – ma l’arte deve creare uno specchio con la nostra contemporaneità e focalizzarne le istanze… ci deve anche coinvolgere emozionandoci…”
Il melodramma, nella sua storia, è pieno di trasposizioni di testi letterari in opere liriche, ma in questo caso le fonti sono state oggetto di un libero adattamento.
Il grande successo de “La Lupa”, il racconto pubblicato nel 1880 nella raccolta “Vita dei campi” aveva spinto Verga a ricavarne un dramma teatrale in un atto con lo stesso titolo; ma il tentativo non fu così semplice.
La vicenda della Lupa verghiana da trasportare in musica era stata, infatti, difficile e complicata.
Dopo un primo approccio, fallito, con Puccini nel 1894, l’opera, su libretto di Federico de Roberto musicato da Pierantonio Tasca -e oggetto di critiche anche da parte di Pietro Mascagni- giunse alla messa in scena.
Fu rappresentata una sola volta al teatro Gerbino di Torino nel 1896 prima di cadere nell’oblio
Giunsero tuttavia, alla fine degli anni Ottanta del Novecento, tempi migliori e autori coraggiosi capaci di muoversi tra generi drammaturgici e musicali nuovi: Marco Tutino e Giuseppe de Leva.
Andata in scena per la prima volta a Livorno nel 1990, l’opera ‘rivisitata’ fu poi ripresa a Palermo.
Da allora rimase “sospesa” per tornare a Catania in questa occasione.
Il “liberamente tratto” consente alla regia un’audace trasposizione nel tempo (gli anni Sessanta) e nello spazio (un’anonima città del Nord) all’interno di una scenografia innovativa, animata da specchi, di Eleonora Peronetti; un commento cromatico nello sfondo, attraverso le scenografie digitali di D-Wok fa da didascalia agli stati d’animo con la preponderanza del passionale e tragico rosso.
E così l’opera, staccandosi dalla tradizione, diventa “un cazzotto nello stomaco” come la definisce il musicista/ autore; un forte pugno, sottolineato dalla crudezza delle percussioni, miscelata con sonorità jazz e soprattutto rock, senza dimenticare la musica leggera del tempo e qualche consonanza lirica (Viva il vino spumeggiante…).
“Difficile, dichiara al giornale Sergio Escobar (Nanni), la contestualizzazione del testo…abbiamo dovuto studiare moltissimo…specie io che sono abituato a Verga e Puccini…”.
Lupa, sempre seducente, lussuriosa ma libera dai pregiudizi nel gridare la sua passione, lega a sé indissolubilmente, nel corpo e nella mente, il debole Nanni fino allo scoop finale: è l’uomo a morire…o è un incubo?
Chi è la vittima, chi è il carnefice?
La seconda parte dello spettacolo è stato dedicato a Pirandello e alla sua commedia “Il berretto a sonagli” andata in scena per la prima volta nel 1917 in lingua siciliana (interpretata dal grande attore Angelo Musco) e nel 1923 in italiano.
Accomunata alla ‘Lupa’ dal fil rouge della violenza contro le donne l’Opera tratta da “Il berretto a sonagli”, in prima mondiale al teatro catanese, ha messo ancora una volta alla prova Marco Tutino che, con la sua musica piena di percussioni, xilofono e sonagli, ma anche raffinata e attraversata da garbate melodie si è mosso sul testo di Fabio Ceresa.
Il librettista, anche, si è mostrato capace di rivoluzionare (anche qui nel tempo…e nella trama) Pirandello, mantenendo però i punti fermi delle “tre corde”: la “civile”, la “seria” e la “pazza”.
Egli lega soprattutto il personaggio di Ciampa (è qui la novità) alla mafia emergente negli anni ’30 sottolineando così la vocazione civile del suo testo.
Alla denuncia socio/politica si accompagna la rabbia feroce, e -come per Lupa – libera dai pregiudizi, della protagonista Beatrice Fiorica, che vuole gridare al mondo l’offesa subita dal marito adultero.
Ma quando si sa che ‘l’altra’ è la moglie di Ciampa si scopre una rete di connivenze all’interno della famiglia e fuori; si profila addirittura il pericolo di una vendetta, della sua stessa morte:
“Voi come moglie pretendete rispetto -dice minacciosamente Ciampa- perciò comprenderete: come marito anch’io voglio il rispetto mio…acciughe sott’olio e mogli sotto chiave…perché non diamo una girata alla corda civile?).
Da qui la decisione della donna di ricorrere invece alla ‘corda pazza’, di indossare il berretto a sonagli:
“Solo una pazza direbbe al mondo ciò che sto per dire: che Ciampa è il capo di questa ‘cosa vostra’…la verità dei pazzi è inascoltata. Lasciate a questa pazza una ragione per riguardarsi in faccia la mattina”.
Una tempesta di emozioni!
E a questo proposito Alberto Gazale (Ciampa), intervistato da noi, ha sottolineato le difficolta di un ruolo, il suo, così forte, brutale, tanto che non avrebbe mai pensato di poterlo tradurre in musica.
Entrambi i titoli, dunque vogliono lanciare un ‘j’accuse’ contro le ipocrisie l’omertà e l’ancora difficile condizione della donna sottolineata dal regista con l’esposizione sul proscenio di una fila di scarpe rosse.
In conclusione: se le novità a volte possono disturbare, aprono in ogni caso nuovi orizzonti di innovazione e di rinnovamento.
Se a questo si aggiunge l’impegno civile da veicolare anche attraverso l’arte lo scopo, decisamente coraggioso, è raggiunto.

Foto e video di Lorenzo Davide Sgroi

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