Spettacoli

“Un’altra Salomè” al Teatro del Canovaccio: una rilettura di Oscar Wilde

È andato in scena al “Teatro del Cannovaccio”: “Un’altra Salomè” con Egle Doria, Francesco Bernava, Luana Toscano e Giorgia Boscarino, Regia: Saro Minardi. Aiuto regia: Gabriella Caltabiano. Scene e costumi: Vincenzo La Mendola. Assistente scene e costumi: Giuseppe Adorno. Audio e video: Massimo Corsaro. Sartoria: Grazia Cassetti. Comunicazione: Stefania Bonanno. Progetto grafico: Maria Grazia Marano
Coordinamento: Filippo Trepepi. Produzione: Madè. Stagione ‘Reazioni’– Teatro del Canovaccio – Catania.

Ottimo esperimento questo del regista Saro Minardi che ha operato una rilettura in chiave contemporanea e molto, molto personalizzata della “Salomè” di Oscar Fingal O’ Flahertie Wills Wilde (1854 -1900), scritta in francese a Parigi nel 1891 (l’anno prima aveva pubblicato ‘Il ritratto di Dorian Gray’) per Sarah Bernhardt.

Già da circa un decennio l’autore irlandese subiva accuse di immoralità, divenute sempre più frequenti, nonostante il suo matrimonio con Costance Lloyd e la nascita di due figli.
Moltissimi erano in realtà i suoi amanti.

E proprio per la violazione della legge contro l’omosessualità maschile venne processato e condannato, nel 1895, a due anni di reclusione e ai lavori forzati.

Il Regno Unito avrebbe depenalizzato l’omosessualità maschile solo negli anni ’60 del secolo scorso.    
Scontata la pena andò a Napoli dove, conosciuta la Duse, inviò anche a lei una copia della ‘Salomè’.

Si recò poi a Taormina, noto ritrovo di omosessuali nordici in fuga dalla patria (“Ho scoperto quaggiù il paradiso…”), per conoscere il barone von Gloeden le cui fotografie di ‘fauni giovinetti’, erano state pubblicate da Charles Holmes, lo stesso che aveva arricchito proprio la sua Salomè con illustrazioni di Aubrey Beardsley.

Nel 1898 Wilde lasciò il ‘paradiso’ siciliano per recarsi a Parigi dove morì, due anni dopo, a 46 anni.

L’atto unico “Un’altra Salomè” è liberamente tratto e adattato, dall’originale versione di Oscar Wilde -proibita a Londra dal Lord Ciambellano per il divieto di trasporre in teatro personaggi biblici-, con grottesca ambiguità e immersa in un’atmosfera surreale e onirica dal regista Saro Minardi.

Già lo stesso Wilde aveva costruito la sua pièce allontanandosi nettamente dall’interpretazione evangelica (Matteo, 14,6-8) – “…La figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: “Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista…” – per spostare l’attenzione dalla vendicativa Erodiade alla sola Salomè sulla cui arrogante lussuria fa ricadere tutta la responsabilità della morte del profeta.

Nel 2002, a Catania, sempre al Teatro del Canovaccio, era stata rappresentata un’edizione di “Salomè” più vicina e fedele al dramma di Oscar Wilde, con l’adattamento di Eliana Esposito e con la regia di Salvo Musumeci.

Saro Minardi, in questa rilettura però amplifica i toni.

La scenografia, curata da Vincenzo La Mendola, divide lo spazio scenico in due parti con una leggera velatura animata da video, luci e soprattutto dalla proiezione del viso del profeta che parla attraverso la voce del regista. 

Il desiderio, la sensualità, la superbia del potere, la corruzione, il sesso sfrenato, la violenza fisica e verbale sovrastano sulla scena dove, al centro dell’azione c’è lei, la principessa di Giudea, magistralmente interpretata dalla sempre più brava Egle Doria.

La sua eterea bellezza affascina tutti: “Com’è bella la principessa Salomè, questa sera!… Somiglia a una colomba ch’abbia smarrito la sua via… Somiglia a un narciso tremante nel vento… Somiglia a un fiore d’argento…Tu sei sempre a guardarla. Tu la guardi troppo. È pericoloso guardare le persone in codesto modo”.

La sua lussuria viene eccitata da un’attrazione sensuale quanto capricciosa per il Battista: “tu hai veduto il tuo Dio, Iokanaan, ma me, me, tu non vedesti mai. Se tu avessi veduto me, tu mi avresti amata. Io vidi te, e ti amai. Oh, come io ti amai! Io ti amo tuttavia, Iokanaan. Io amo soltanto te… Io ho sete della tua bellezza; io ho fame del tuo corpo… Concedi ch’io baci la tua bocca”.

Giovanni la rifiuta: “Indietro! figlia di Babilonia! Non avvicinarti all’eletto del Signore.”

Ma Erode, apparentemente felice e potente davanti alla vendicativa e gelosa Erodiade, è disposto a perdere tutto per veder danzare Salomè, per la passione ‘incestuosa’ che lo divora: “Chiedimi la metà del mio regno, e io te la darò!…

È per il piacere di me medesima che io chieggo il capo di Iokanaan sopra un bacile d’argento. Tu hai fatto giuramento, Erode. Non dimenticare che hai fatto giuramento…

Ma non chiedermi ciò che le tue labbra hanno chiesto”.

Erode, sedotto (“Somiglia una femmina invasata, una femmina invasata che vada cercando amanti in ogni dove. È anche nuda…”) e folle di gelosia, alla fine cede alla malia della fanciulla (“È strana cosa che lo sposo di mia madre mi guardi in tal modo. Io non so che cosa ciò voglia dire. In verità lo so troppo bene..) e all’orrido ricatto (“Ch’ella sia donata di ciò che chiede!”) affinché lei possa baciare quella bocca desiderata e bere il suo sangue.

“Ah! io ho baciato la tua bocca, Iokanaan, io ho baciato la tua bocca…”

Si compie così il destino di Giovanni Battista, ma, inaspettatamente, Wilde/Minardi aggiungono, stravolgendo il finale, ancora un’atrocità:

 Erode comanda: “Uccidete quella donna!?” … ma poi la uccide con le sue stesse mani.

“C’era un sapore agre sulle tue labbra. Era il sapore del sangue? Ma forse era il sapore dell’amore. Si dice che l’amore abbia quel sapore…”.

Queste le ultime parole di Salomè prima che il sipario cali su questo dramma, di grande spessore culturale, della libidine e della brama di potere…e si chiuda sul binomio Amore (ma carnale, ambiguo e insano) – Morte.

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