Viaggi

Un inferno in mezzo al nulla

Lasciamo Salar de Uhuni e arriviamo a Potosì (4090 m.), è una delle città più alte del mondo la cui economia ancor oggi si fonda sull’attività mineraria.

Potosì è nata in epoca Coloniale ai piedi del Cerro Richo (5000 m.), quando furono scoperti i filoni d’argento, ancor oggi sono rimaste  miniere di oro, argento e stagno. La Bolivia, così come per altri Paesi dell’America Latina ha subito uno sfruttamento estremo della popolazione indigena destinata all’estrazione mineraria, le condizioni dei “mitayos “ sono state e lo sono ancora a dir poco infernali. Ci fermiamo a mangiare in una locanda, i volti degli andini si alternano con quelli dei turisti. Mangiamo senza notare i particolari di ciò che ci circonda, siamo abbastanza tranquille, il cibo è genuino e gli alimenti sono ben cotti.

Ignoro il colore e l’untuosità dei tavoli, mi concentro sui volti d’alcuni avventori, mi ricordano tanto l’incontro nel deserto cileno del “Che” con una coppia di minatori, in “Questa America” il tempo sembra essersi fermato. Girare per le strade di Potosì, perdersi negli occhi di questi andini, i volti bruciati dal sole e gonfi dal bolo delle foglie di coca, necessaria per sopportare la fatica e la fame, alcuni sono indios altri conservano il sangue degli schiavi provenienti dalla “Costa d’Avorio”.

Rispetto al passato l’assetto organizzativo è cambiato, i minatori si sono organizzati in cooperative, ma i ritmi e le condizioni di lavoro sono massacranti, le tecniche d’estrazione piuttosto arcaiche. La tristezza che si legge sui volti che incrociamo è lì, a memoria della ferocia dei Conquistadores e di tutti i governi che nel tempo hanno infierito su questi popoli. Usciamo dall’abitato e c’immergiamo in un paesaggio lunare, arido quasi privo di vegetazione, in lontananza alcuni ragazzini fanno ritorno a piedi dalle miniere, è opportuno sospendere qualsiasi giudizio, come si usa dire in questa parte del mondo “no sabemos que pasò en su casa”.

”Il personaggio che ha scritto …….è morto quando è tornato a posare i piedi sulla terra Argentina, e colui che li riordina e li ripulisce, io, non sono più io; per lo meno non si tratta più dello stesso io interiore”, così scrive Ernesto Che Guevara in “Notas de Viaje”, e così io mi sento dopo che mi sono allontanata da questo inferno in terra. Nel silenzio della notte ci dirigiamo verso Sucre, all’alba la città si presenta a noi in tutta la sua eleganza, ritorniamo viaggiatrici alla scoperta delle bellezze naturali di questo paese. Alle prime luci del nuovo giorno affrontiamo un trekking che ci porta ad oltre 5000 m., ultima meta una grotta preistorica, i graffiti presenti al suo interno mi ricordano tanto quelli visti in Val Camonica, Lombardia orientale. Rimango stupefatta per il ritrovamento di disegni così simili in luoghi così lontani nel mondo si spiega solo con l’utilizzo d’analoghe essenze vegetali, ovvero assunzione da parte di “uomini medicina” di medesime droghe. La discesa nella valle, ci provoca numerose ferite alle mani, una frana ha cancellato il sentiero, nostro unico supporto che ci aiuti nella discesa una serie d’enormi tronchi prostrati sul terreno. La Pachamama (madre terra) ci soccorre, donandoci le sue creature più preziose, gli alberi abbattuti dalla frana ormai destinati a morire.

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