L'Opinione

Riflessioni sull’anniversario dell’introduzione del suffragio universale in Italia

Oggi stiamo vivendo un momento di recessione pesantemente declinato al femminile a partire proprio dal valore dei posti di lavoro persi e dal divario salariale crescente, fino ad arrivare all’aumento dei lavori di cui non retribuiti e ad un welfare sempre più esente. Sulla base della statistiche e dei dati recentemente pubblicati dall’Osservativo Nazionale Sul Precariato la pandemia ha rimesso l’orologio della donna indietro addirittura di qualche decennio. Certo, è ancora troppo presto per valutare a pieno gli effetti della Crisi da Covid-19 sul mondo della parità di genere e delle opportunità lavorative ma come già annunciato i dati Istat e quelli segnalati dallo Ispettorato del lavoro hanno sottolineato semplicemente la circostanza che la pandemia non ha fatto altro che accentuare un trend già avviato. La disparità tra la donna e gli uomini va, quindi, oltre la pandemia essendo endemica e legata ad un vero problema di antropologia culturale della società italiana. L’Italia sta, dunque, lasciando indietro le donne? I dati sembrerebbero dire di sì richiedendo come argine un maggiore apporto in termini di incisività da parte della policy di genere che dovrebbe favorire una maggiore inclusione a tutti i livelli interrogandosi anche su quali siano gli agenti di cambiamento più efficaci all’interno della società. Sebbene l’atteggiamento verso l’uguaglianza sta evolvendo nemmeno la generazione più attuale e giovane è immune dagli stereotipi e dalle trappole della differenziazione culturale. È vero che l’azione dell’Ue a favore della parità di genere è integrata in vari settori politici e meno a governative pari diritti ma, tuttavia, alcune statistiche essenziali sulla situazione e le relative azioni dell’Ue mostrano un trend assai negativo per l’Italia. Certo la condizione femminile in Italia ha compiuto, nel tempo, molti e significativi progressi con le donne che si sono viste conoscere, durante il XIX ed il XX secolo maggiori diritti precedentemente riconosciuti solo agli uomini. Sessant’anni fa, nel marzo del 1946, in occasione delle elezioni amministrative ed il 2 giugno 1946, in occasione del referendum tra monarchia e repubblica, in Italia le donne votavano per la prima volta. Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale il suffragio universale perfetto portava a compimento una battaglia cominciata in Italia all’indomani dell’Unità e passata attraverso le petizioni delle prime femministe all’inizio del Novecento e corroborante della partecipazione delle donne alla guerra di Resistenza. Il Risorgimento è, infatti, stato il primo evento della storia italiana nel quale la partecipazione femminile sia stata apertamente ricercata e riconosciuta. Nella prima metà del XIX secolo, alcuni dei salotti più influenti in cui i patrioti, rivoluzionari ed intellettuali italiani si incontrano, sono diretti da donne come Teresa Cosati o Bianca Milesi. Particolarmente rilevante è la presenza femminile nel movimento mazziniano come alche sui campi di battaglia (vedasi al riguardo Anita Garibaldi o Luisa Battistotti Sassi).  Il nuovo stato unitario sebbene esalta ed idealizzi le madri e le spose del Risorgimento (prima fra tutte Adelaide Cairoli) non concede però in definitiva alcun diritto alle donne, con il voto (anche amministrativo) precluso. Comincia, quindi, subito la battaglia per l’acquisizione di una parità di diritti e del suffragio femminile in Italia con Anna Maria Mazzoni che nel 1864 diventa la pioniera del movimento femminile in Italia, denunciando le discriminazioni legali cui la donna è sottoposta. Nel 1867 il deputato Salvatore Morselli presenta il primo disegno di legge per consentire il voto alle donne; la proposta è respinta con voto della Camera dei Deputati ma egli da allora è considerato il padre del femminismo italiano. Sarà però la prima guerra mondiale e l’enorme contributo dato dalle donne alla causa bellica (i posti di lavoro persi dagli uomini richiamati al fronte vennero occupati in tutti i settori dalle donne) a riaccendere al termine del conflitto il dibattito sulla condizione giuridica della donna in Italia. Il movimento fascista in tutto il suo periodo vede nonostante alcuni iniziali barlumi di propensione alla concessione del voto amministrativo alle donne un atteggiamento la cui retorica esalta il ruolo di supporto della donna italiana incoraggiando soltanto il ruolo sottomesso nella famiglia (l’ideale è il modello offerto da Rachele Guidi, moglie di Benito Mussolini) o a intrattenimento dell’uomo italiano ne campo dello spettacolo (vedasi la figura di Wanda Osiris al riguardo). Dopo l’esperienza del fascismo e la forte battuta di arresto subito dal movimento di emancipazione femminile l’esperienza della Resistenza offre alle donne italiane la prima occasione di presenza di massa nelle vicende politiche del loro paese con una partecipazione addirittura del 20% al movimento di resistenza senza contare le tante domande che agiranno da fiancheggiatrici. Ufficialmente rappresentata nel comitato di Liberazione Nazionale i movimenti femminili formano un comitato pro voto fin dall’Ottobre 1944 indicandone in tale obiettivo il riconoscimento dovuto all’impegno delle donne nella Resistenza. Con il decreto legislativo 23 del 1 febbraio 1945, il suffragio femminile viene riconosciuto su proposta condivisa da Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti senza però la loro eleggibilità. La fine della seconda guerra mondiale in Italia segna un momento di svolta nella condizione femminile in Italia come visto in precedenza con l’emanazione di leggi sempre più liberali nei confronti delle donne, alimentando tutte le limitazioni loro imposte in precedenza. Dopo un lavoro di oltre un secolo il diritto alla parità e pari dignità sociale tra uomo e donna viene sancito finalmente dalla Costituzione Italiana in vari suoi articoli. La spinta per l’emancipazione femminile si attenua con il raggiungimento del diritto al voto e proprio dalla testimonianze di varie scrittrici si coglie coscienza e l’emozione per il progetto di società democratica e partecipativa che si stava delineando in cui le donne avrebbero continuato a lottare per affermare la parità dei loro diritti in ogni campo della vita privata e pubblica. Parole come quelle proferite da Alba de Céspedesp o da Anna Banti evidenziano come il giorno delle elezioni avesse rappresentato la fine di una lunga e difficile avventura ma soprattutto in cui il sesso femminile si sentiva come messo alla prova in un percorso di democratizzazione del territorio azionale che era anche e soprattutto un percorso di marcia verso i diritti delle donne. Tale percorso sarebbe poi proseguito a piccoli passi durante tutta l’esperienza della Prima Repubblica e poi nella Seconda Repubblica avrebbe visto addirittura la presenza di donne all’interno del Consiglio dei Ministri fino al 2011 quando Paola Severino diventava la prima donna a ricoprire il ruolo di ministro della giustizia sotto il Governo Monti. Anche dal punto di vista normativo numerosi paesi in avanti risultano stati fatti negli anni; al riguardo basti pensare alla legge del 1009 che tutela le vittime di “stalking” da parte degli uomini o alla leggere del 2013 con cui l’Italia si è dotata di una legge specifica sul femminicidio o in ultimo alla recente pronuncia del 27 Aprile 2022 con cui la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittime tutte le norme che impediscono alla donna di dare il cognome al proprio figlio. Nonostante, comunque, i tanti passi avanti effettuati ancora oggi vi sono numerose cariche politiche non ancora ricoperte dalle donne in Italia. Oggi la condizione femminile in Italia è radicalmente cambiata rispetto al passato anche grazie ai progressi compiuti nella partecipazione delle donne alla vita politica ma resta al di sotto dei paesi più avanzati soprattutto nel mezzogiorno ove le differenze sono più accentuate. Certamente come la stessa Patrizia Gabrielli ha sostenuto il 2 Giugno 1946 rimarrà nella storia del movimento femminista una giornata memorabile anche e soprattutto dal punto di vista del camino del paese verso la democrazia sebbene purtroppo tale marca abbia visto di recente un arresto che ipocritamente viene attribuito al covid ma che nella realtà è frutto di una condizione endemica della società italiana che il covid ha soltanto catalizzato. D’altronde come tuonava la pasoliniana memoria narrativa oggi le maschere che la società indossa altro non hanno che ricreare oggettivamente, sulle loro fisionomie ciò che essi nel loro animo hanno già condannato per sempre. La parità di sesso, purtroppo, necessita ancora di una ampia amnistia in tal senso.

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