L'Opinione

Il velo islamico: tra costrizione e ricerca di identità

I recenti attacchi e contrattacchi tra Israele e l’Iran hanno posto al centro dell’attenzione la possibile escalation militare ma, anche, la differenza tra i paesi democratici e i paesi teocratici in cui non vengono garantiti nemmeno i diritti fondamentali, tra cui la  parità di genere.

Secondo fonti ufficiali, tra cui quelli raccolti da Amnesty International, in Iran dal 15 aprile 2023 più di un milione di donne hanno ricevuto avvisi di confisca delle loro autovetture, qualora fossero state fotografate senza velo. Inoltre, numerose donne sono state sospese o espulse dalle università ed è stato impedito loro di sostenere gli esami finali e negato l’accesso ai servizi bancari e ai mezzi di trasporto pubblico. Centinaia di attività commerciali sono state forzatamente chiuse per non aver fatto rispettare l’obbligo del velo. Come ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, “l’azione repressiva di oggi è intensificata dalle tecnologie di sorveglianza di massa in grado di identificare le donne senza velo all’interno delle loro automobili e negli spazi pubblici”.

Lo scorso anno la morte di due ragazze, quasi certamente uccise dalla polizia morale perché non indossavano il velo in modo corretto, ha suscitato un’ondata di indignazione e proteste in tutto l’Iran.

Il mondo occidentale, in genere, prova orrore pensando alla condizione delle donne, nei paesi teocratici, sottoposte al diritto del maschio-padrone, prive della libertà e dei diritti fondamentali, tra cui, in alcuni casi, il diritto allo studio.

Il velo dunque, in Occidente, è spesso diventato sinonimo di costrizione e mancanza di libertà ed associato da molti all’Islam e alla sua religione.

Ma cosa dice il Corano in proposito?

Si tratta, com’è noto, della massima fonte del diritto islamico in quanto dettato direttamente a Maometto dall’Arcangelo Gabriele per volere di Allah.

Nulla, in realtà.

Il Corano non prescrive da nessuna parte l’obbligo del velo ma, pur precisando una chiara supremazia dell’uomo sulla donna  in quanto gli uomini sono preposti alle donne perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle (Cor, 4:34), si limita a chiedere alle donne di “velare le loro parti belle” (Cor. Sura XXIV, 30-31). Niente cioè che religione e mentalità non richiedano anche alle donne (e agli uomini) occidentali che, per costume, tengono coperte alcune parti del corpo.

Inoltre, l’associazione del velo e del capo coperto alla sola religione islamica è sicuramente riduttiva: anche le ebree ortodosse devono portare il capo coperto (da un velo o da una parrucca) e il capo velato fa sicuramente parte della tradizione cristiana.

Fino agli anni ’50 le donne più anziane in Italia portavano il velo in chiesa e nei piccoli paesi, e ancora oggi chi si presenta davanti al Papa deve farlo con il capo velato. Velate poi sono le dame rinascimentali, le spose, le suore e la stessa Madonna è sempre rappresentata velata con un manto azzurro.

Le origini del velo per le donne hanno dunque una storia antica che risale addirittura al codice di Hammurabi (1760-1750 a.C. circa).

Il velo islamico, nello specifico, risale ad una tradizione ripresa dalla prima comunità fondata dal profeta Maometto. Il capo coperto indicava umiltà e segno di sottomissione ad Allah.

Lo stesso fatto che esistano diversi tipi di velo, dal semplice Hijab che è poco più di un foulard, al Chador, al famigerato Burqa, è la prova che l’obbligo del velo è frutto di tradizioni legate all’area geografica di appartenenza e a diverse interpretazioni della legge islamica.

Certo, la condizione della donna sotto i regimi teocratici fondamentalisti è terribile; basti pensare che le donne in alcune parti del mondo non possono istruirsi e lavorare. Tuttavia è opportuno operare alcuni distinguo.

Quando nel 1979 la popolazione iraniana scese in piazza a Teheran per protestare contro il regime corrotto e filo-americano dello Shah Reza Palhavi c’erano anche molte donne; e molte di loro scelsero di indossare spontaneamente il Chador chiedendo all’Ayatollah Khomeini di liberare l’Iran da un regime occidentalizzato che non sentivano proprio.

Certo nessuna di quelle donne sapeva che quella scelta, che per loro aveva il sapore della libertà, sarebbe diventata da lì a pochi mesi il peggiore dei loro incubi.

Appena salito al potere infatti Khomeini tradì molte delle aspettative di chi lo aveva acclamato e soprattutto quelle delle donne, imponendo l’obbligo del velo e restringendo in modo drammatico le libertà femminili sia nell’ambito dell’istruzione, che del lavoro, che della loro vita fuori dalle mura domestiche.

Il 22 maggio 1979 la prima donna fu fustigata nella pubblica piazza per la mancata osservanza delle leggi coraniche.

Da scelta identitaria, quindi, il velo si trasformò rapidamente nel peggiore dei simboli dell’oppressione.

Perché però nel 1979 le donne, pur cantando Bella Ciao in siriano, scesero in piazza indossando spontaneamente il Chador? E perché anche in occidente alcune donne si rifiutano di togliersi il velo, o scelgono di indossarlo ad un certo punto della propria vita, pur senza essere obbligate a farlo dallo stato o dalla famiglia?

Basti pensare al caso di Grenoble, raccontato dallo storico Gilles Kepel nel saggio del 1996, Ad ovest di Allah, quando ragazzi e ragazze scesero in piazza al grido di Laicité oui, mon foulard; e a casi più recenti in cui giovani studentesse richiedono di poter indossare il velo a lezione e in tutte le occasioni della loro vita sociale. In una recente indagine, condotta in Indonesia, pubblicata sulla Quarterly Journal of Economics, il 71% delle donne intervistate dichiarava, contrariamente all’interpretazione convenzionale, di indossare il velo non perché imposto dal consorte o dai genitori, né per seguire la moda, ma per propria volontà. E risultato dell’indagine non variava sostanzialmente anche tra gruppi con diversi livelli di istruzione. In tante dichiaravano di usare il velo come un passepartout che consentiva loro di uscire di casa per studiare, lavorare e, in generale, per integrarsi nella sfera pubblica senza essere stigmatizzate dalla società.

Pertanto, è chiaro che se vogliamo evitare spiegazioni semplicistiche e riduttive, la vicenda del velo islamico è assai complessa; e se da un lato non possiamo che condannare con forza qualsiasi forma di imposizione che violi il corpo delle donne, velo compreso, dobbiamo anche poter immaginare che nei paesi islamici per alcune donne la ricerca della libertà possa seguire e intraprendere strade diverse da quelle scelte dall’Occidente.

Il modello occidentale, forse, non è l’unico modello perseguibile.

Comprendere appieno le ragioni dell’uso del velo potrebbe essere importante anche per i paesi avanzati e potrebbe favorire le politiche di integrazione. Vietare le loro tradizioni, tra cui il velo, potrebbe avere ricadute sociali ed economiche inattese.  La messa al bando del velo, anche con l’intento di liberare le donne di religione musulmana dalle catene delle loro usanze, potrebbe rivelarsi controproducente ai fini della loro partecipazione e integrazione nella società.

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