Cultura

Garibaldi e il ritorno del romanzo storico

L’ultima fatica editoriale di Santi Maria Randazzo, “Da Staten Island a Marsala: la lunga marcia di Garibaldi” (Albatros, 2021), segna il ritorno del romanzo storico sugli scaffali delle librerie, un genere letterario per il quale oggi sono in pochi a possedere le competenze e, diciamo pure, il coraggio per addentrarsi in un percorso compositivo che vive dell’intreccio tra la precisione analitica di complessi fatti storici e una fervida fantasia inventiva. Infatti la vicenda umana, politica e militare di Giuseppe Garibaldi, dall’incipit del romanzo in cui viene mostrato esule al suo arrivo il 30 luglio 1850 nel porto americano di Staten Island per poi proseguire nella narrazione quale instancabile condottiero dell’avanzata militare dal Sud della penisola, va sviluppandosi grazie all’ampia e puntuale documentazione sulle vicende del Risorgimento Italiano, sempre accostate a distesi momenti di vita privata. E, si badi, proprio come nella migliore tradizione manzoniana, non si guarda a sentimenti e inquietudini propri dei celebri protagonisti degli eventi storici, quindi Garibaldi, Mazzini, Cavour, Pio IX, Vittorio Emanuele, Napoleone III e via dicendo, ma anche a quelli della gente comune, non dunque passiva spettatrice ma pienamente partecipe degli eventi: così scorrendo tra i vari capitoli, ci si appassiona per l’ardore rivoluzionario di Garibaldi e Mazzini, ma si scopre un mondo di riflessioni e competenze in popolani quali il contadino Giovanni e sua moglie Maria, la serva palermitana Rachele, la catanese Giuseppa Bolognara detta  Peppa ‘a cannunera e il cuoco Turiddu, quest’ultimo di Motta Santa Anastasia proprio come l’Autore, che riesce con questo personaggio, “diretto discendente del cuoco di corte di re Martino Il Giovane e della Regina Bianca di Navarra” (Cap. 13, pag. 170), a rievocare un mondo siciliano fatto di sapori e tradizioni culinarie (dalla pasta con le sarde alle squisite olive preparate col vino cotto) in parte andate perdute, proprio come l’uso del dialetto, ampiamente utilizzato dall’Autore nelle vicende ambientate nei territori siciliani, tradotto sia tra parentesi, sia all’interno della stessa narrazione con l’abile artificio inventivo del palermitano Vittorio che volontariamente si presta come valido interprete (Cap. 19, pp. 267-268). Ciò non solo per chiarire ai profani la lingua siciliana, ma, e soprattutto, come occasione per spiegare storia e tradizioni locali, in primis sul passato del piccolo centro di Motta Santa Anastasia, originariamente denominata Aitna-Inessa:

Le origini di Motta Santa Anastasia si perdono nella notte dei tempi; in questo territorio sono state trovate tante di quelle testimonianze archeologiche del passaggio dei popoli più antichi che hanno abitato la Sicilia, i cui reperti sono stati spesso richiesti dagli antiquari di molte città europee che li hanno acquistati per esporli nei loro musei o per farne oggetto di commerci.” (Cap. 13, pag. 172)

Un villaggio dunque che non avrebbe meritato l’oblio nel ridursi progressivamente  a periferia rispetto alla potente Catania, come dimostrato da Santi Maria Randazzo in numerose sue pubblicazioni sull’argomento, disponibili sul sito academia.edu gestito dall’Università di Edimburgo.

Come detto sopra, la narrazione non si sviluppa sui consueti binari dell’approfondimento sulle gesta di nomi altisonanti, ma sa volare lontano, per planare sulla quotidianità della gente comune, ed è tanta la forza d’urto inarrestabile di quel Risorgimento in atto, che i dialoghi, magistralmente orchestrati, assumono, anche quando ambientati nel mondo popolare, il carattere della profezia onirica: la contadino Maria nella sua premura verso il marito Giovanni ignaro dei futuri sovvertimenti militari, pare assumere le vesti di una veggente degna del coro dell’antica tragedia greca:

Maria intuì, sentiva di essere certa che stava per arrivare verso di lei, di Giovanni e dei suoi figli un qualcosa che si manifestava alla sua percezione interiore come un vortice avvolgente dai contorni oscuri e nebulosi; una forza misteriosa fredda e caldissima al tempo stesso, pericolosa ma ugualmente inevitabilmente affascinante, capace di risucchiare ogni linfa vitale, ogni persona, ogni più intima emozione e sentimento avvinghiandoli in un vortice inesorabilmente attrattivo che li rendeva organicamente funzionali ad essa.” (Cap. 6, pag.113)

Un ulteriore motivo di interesse sta nel rispecchiamento, inaspettato ma perfettamente funzionale allo svolgimento del racconto, tra passione politica e passione erotica, in pagine nelle quali l’amore fisico diviene motore unificante dei corpi e degli animi, appunto con il medesimo ardore che muoveva i patrioti nel sogno di unificazione di una Italia ancora per poco divisa. Il discorso è valido sia descrivendo gli infuocati incontri amorosi tra Giuseppe Mazzini e Giuditta Bellerio Sidoli (Cap. 3) come tra Napoleone III e Virginia Oldolini Verasis, contessa di Castiglione (Cap. 20), ma anche nel delicato, poetico e ugualmente intenso amore platonico di Giuseppe Garibaldi verso Rachele, la ragazza siciliana assegnatagli dal comitato cittadino per la lotta di liberazione di Palermo:

Garibaldi, che non disdegnava certo l’interesse delle donne nei suoi confronti, specie dopo la morte di Anita avvenuta dodici anni prima, era sempre pronto a concedersi a qualche donna che gli si proponeva e che stimolava il suo interesse maschile: in questo caso sentì, però, immediatamente nei confronti di Rachele una sorta di insolito ma caldo e quasi paterno pudore; questo protettivo sentimento nei confronti di quella ragazza gli impedì di elaborare pensieri lascivi o desideri passionali, perché avvertiva una forma di tenerezza o forse perché, in modo sorprendente, gli ricordava Anita.” (Cap. 11, pag. 150)

Grande dovizia di informazioni storiche sempre puntuali e precise completano il quadro d’insieme del romanzo storico, spesso con la citazioni estese di documenti d’epoca (alcuni presenti nelle illustrazioni allegate al testo), permettendo la ricostruzione minuziosa di determinati momenti cruciali, come ad esempio nelle prime prese di posizione tra Cavour, Napoleone III e Vittorio Emanuele (Cap. 4) o nella violenta escalation delle rivolte di Bronte e conseguente repressione (Cap. 14).

In conclusione, un libro che vive nel respiro di una autentica epopea popolare, fin dall’esplicito riferimento contenuto nel titolo alla cosiddetta “lunga marcia” che, come in Cina negli anni della guerra civile guidata da Mao Tse-tung permise l’estromissione di potenze straniere, venne di fatto compiuta precedentemente nel Meridione col medesimo obiettivo di liberazione, ideale vincente del Risorgimento Italiano. Un libro che vale la pena di leggere.

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