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Canaima, il Paradiso esiste

Lascio la “Gran Sabana” e trascorro alcuni giorni a Ciudad Bolivar, una città coloniale conosciuta in passato con il nome d’Angostura (strettezza), che si estende lungo le rive dell’Orinoco. Passeggio per le sue vie, attraverso i lussureggianti giardini, ma soprattutto mi attardo all’imbrunire ad ammirare lo splendido tramonto sull’Orinoco dove in lontananza un ponte sospeso riunisce due lembi di terra. Finalmente mi ritrovo sulle rive di questo mitico fiume, che in lingua Warrao significa “padre della nostra terra”; nasce al confine tra Brasile e Venezuela, lungo la sua corsa si biforca e va in parte ad alimentare il Rio Amazzonico.
Risalendo l’Orinoco, ci s’immerge all’interno di una selva costituita da gigantesche mangrovie, popolate da una fauna ricca e diversificata. Immersi in un labirinto di canali e d’isolette, non è difficile incontrare gli indios Warrao (gente d’acqua), che vivono ancora su palafitte rettangolari costruite con tronchi di palma moriche o “manaka” fissati nel fango. Abili artigiani costruiscono le loro canoe con il legno di ceibas e le foglie sono bollite ed essiccate per poi fabbricarne delle amache, borse e altri oggetti.
Come sempre il mio tempo mi è nemico, decido di decollare da Ciudad Bolivar con un piccolo aereo, di quelli che trasportano solo tre passeggeri più il pilota; è l’unico mezzo per raggiungere la mia meta finale. Una volta decollata e superata la paura, una vista meravigliosa mi tranquillizza. Il piccolo aereo sembra galleggiare sopra le nuvole che si aprono all’obiettivo della mia macchina fotografica, lasciando intravedere un’immensa distesa d’acqua con numerose isole ricoperta da una lussureggiante vegetazione. Il verde della selva è piacevolmente contrastato dal turchese dell’acqua. Quando s’immagina il paradiso, sopraggiungono immagini di lagune incontaminate, di bianche spiagge, di cascate spumeggianti e di una vegetazione impenetrabile.
Io ho trovato il mio angolo di paradiso in un luogo che si chiama Canaima, è questo un nome Pémon che sta ad indicare degli esseri spirituali mitici, portatori di malvagità e di morte, in contraddizione con la bellezza paesaggistica. Alla laguna di Canaima, non perdo tempo e indossato il costume m’immergo in un punto sicuro e protetto; immersa nella calda acqua mi ritrovo ad osservare le mie gambe che in trasparenza sono avvolte da particelle dorate, è l’effetto della luce sui minerali ferrosi sospesi in queste acque dalle proprietà terapeutiche. In lontananza i Tepui, Zamuro, Venado e Cerbottana, i saggi guardiani e il fragore delle cascate creano una magica armonia. Una guida locale m’invita a salire su una canoa; scivolando sulla superficie della laguna raggiungiamo cinque cascate, ognuna di loro ha un nome che ne ricorda la forma. Lasciata l’imbarcazione ci addentriamo nella selva fino ad arrivare ad un primo salto d’acqua che è il “Aspo”, passiamo sotto le rocce con l’acqua che scende a mantello creando così magici effetti di luce. Raggiungiamo un secondo salto il “Sapito”, qui ho il piacere d’incontrare il mio primo curandero Venezuelano, vestito con gli abiti tradizionali della sua gente, ad alcune mie domande risponde che pratica antichi rituali che gli sono stati tramandati dal nonno materno. Sulla strada del ritorno, nel bel mezzo della laguna, veniamo colpiti da una pioggia battente. Indossati degli abiti asciutti, dalla terrazza del mio resort mi godo questa mia prima notte fatta di pioggia, di rumori notturni e di uno splendido pesce arricchito con salsa vegetale e adornato con frutta tropicale d’ogni tipo.

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