Viaggi

Alla scoperta di un variopinto mercato

L’antico cammino mi attende, si tratta di un sentiero tracciato degli Incas, i vari villaggi sulle Ande furono messi in comunicazione da questo evoluto e misterioso popolo. Percorro a piedi con l’aiuto di una guida e di un portatore piste che scendono e salgono, per poi ritornare precipitosamente a valle ed ecco che mi ritrovo a Pisac, percorro le sue polverose stradine, raggiungo un variopinto mercato. Non si tratta solo di un mercato per turisti, qui i colori delle mercanzie, i sapori del cibo cucinato e consumato all’aperto celebrano una parte della vita quotidiana di questi popoli. Sulle Ande i mercati assumono una peculiarità di grande famiglia o ancor meglio di tribù, il viaggiatore partecipa pienamente, con una complicità che lo fa sentire protagonista. Con difficoltà mi aggiro tra la mercanzia e i mercanti, la merce è varia, dagli ortaggi ai sandali andini. Intravedo del fumo che esce da una casupola, vengo attratta all’interno da un forte odore d’incenso e noto in una nicchia una ciotola con alcune foglie di Coca. La “Curandera” è assente, mi soffermo ad esaminare i diversi simboli; sono presenti altarini con candele (per le “velas de forma”), numerose foto di Santi cattolici come ad esempio padre Pio, naturalmente non manca la Vergine Santa e Gesù Cristo in croce, c’è anche il santo indiano Sai Baba, un piccolo Buddha e alle pareti molti altri simboli. A queste latitudini la religione cattolica ha un margine di tolleranza verso gli antichi rituali e ciò ha reso possibile la sana integrazione di due culture, che alla fine si sono unite in un solo “Credo”. L’uomo con le pratiche spirituali che gli appartengono per nascita, non fa altro che utilizzare un “Potere”, che non cambia con il simbolismo o con il nome che gli si dà. Mi soffermo ad osservare i visi e le movenze di questi uomini e donne delle Ande, mentre consumano il loro pasto in una tavola apparecchiata alla buona nel bel mezzo del mercato. Si tratta dell’ultimo pasto e poi, come sempre, lasciano questa “mondanità” per far ritorno agli altipiani, dove la vita si svolge in solitudine, ma è proprio questo isolamento che consente loro di entrare in contatto con quelle energie sottili che si trovano dentro e fuori di loro.
Riaffiora in me quella sensazione di sentire vibrare la vita dentro di me e di percepire contemporaneamente la “non appartenenza” a quelle forze fisiche che ci consentono attraverso i nostri sensi di godere e di sprofondare nel nostro debole corpo; in questo stato di coscienza, ciò che si ritrova all’esterno di noi è percepito infinito e inafferrabile. Ricordo quando, rimanevo sospesa in questa condizione, sulla terrazza di un rifugio sulle dolomiti, lo sguardo si rivolgeva alle montagne nell’istante in cui si coloravano di rosa per un tramonto che sembrava negare a se stesso un altro giorno, così mi perdevo e ancor oggi mi abbandono al suo ricordo.
Mille volte grazie a chi mi ha permesso di conoscere la sana “solitudine”, poiché chi non ha vissuto questa esperienza ha difficoltà a trovare il senso profondo della propria esistenza.

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