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L’accordo tra USA e Ucraina: primo passo verso la pace promessa da Trump?

I primi cento giorni del secondo governo Trump sono stati un tornado di provocazioni e trasgressioni, attacchi allo stato di diritto e a quello sociale, per non dire della decostruzione dell’ordinamento globale del dopoguerra.
In un clima di grande incertezza, l’indice di gradimento di Trump è cominciato a scendere ed è molto basso se paragonato a quello dei precedenti presidenti allo stesso punto del loro primo anno di presidenza. Nel sondaggio condotto da Gallup il 21 aprile, l’indice di gradimento di Trump era del 44%, e a fine aprile è sceso al 39,9% in calo rispetto al 47% registrato subito dopo l’insediamento del 20 gennaio 2025. Nel dopoguerra, solo l’indice di gradimento dello stesso Trump durante il suo primo mandato è stato più basso, pari al 41%. Le bocciature peggiori? Su “tariffe” e “inflazione”. Il trend dovrebbe preoccupare la Casa Bianca in vista del medio termine del 2026, anche perché nella seconda parte del suo mandato dovrebbe concretizzare le promesse su tagli alle tasse e deregulation.
Imperterrito, Donald Trump ha celebrato dal Michigan i cento giorni di presidenza, difendendo la sua politica dei dazi e ha parlato davanti a una fitta folla di fedeli e con alle spalle uno striscione che ha dichiarato “100 giorni di grandezza”, passando sotto silenzio le polemiche sulle sue tumultuose strategie economiche e sociali che lo vedono perdere quota nei sondaggi.
Trump in oltre un’ora di discorso ha evocato le sue priorità più care, dalla lotta ai migranti, citando deportazioni di massa, ai draconiani tagli ad una burocrazia federale da “sradicare”, alle guerre culturali a cominciare da quella contro “la follia transgender”.
In cento giorni ha firmato oltre 130 ordini esecutivi, un attivismo che i suoi alleati hanno paragonato ad un Roosevelt rovesciato che, al contrario di Trump, aveva ampliato il ruolo pubblico e le protezioni sociali. Se sul piano dell’attivismo Trump ha eguagliato Roosevelt, in realtà larga parte della fama di Franklin Delano Roosevelt è dovuta al vasto e radicale programma di riforme economiche e sociali attuato fra il 1933 e il 1937, conosciute con il nome di New Deal, grazie al quale gli Stati Uniti riuscirono a superare la Grande crisi del ’29 nei primi anni trenta. Vero è che Roosevelt aveva definito le misure proposte da Keynes un “guazzabuglio di cifre” e che, a su volta, l’economista inglese aveva definito Roosevelt un rozzo analfabeta, ma tutto lo staff presidenziale era profondamente keynesiano e fra le più importanti innovazioni dell’amministrazione rooseveltiana vanno ricordati il Social Security Act con il quale vennero introdotte per la prima volta negli Stati Uniti l’assistenza sociale e le indennità di disoccupazione e vecchiaia — e la creazione della Securities and Exchange Commission (SEC), l’Agenzia federale per il controllo del mercato azionario.
Trump si è invece distinto per la politica contro gli immigrati e per l’imposizione di dazi: “Con i dazi alla Cina – ha dichiarato – stiamo mettendo fine al più grande furto di posti di lavoro… Faremo un accordo, ma deve essere equo”. Ha attaccato Powell e la Fed, affermando che di interessi se ne intende più di loro, ha insultato e umiliato gli immigrati illegali deportati a El Salvador mentre scorrevano le immagini crude degli arrestati trasmesse su un maxischermo, ha sbeffeggiato l’ex presidente Biden definendolo il “peggior presidente della storia” a cui hanno fatto da contro altare i “migliori cento giorni” della sua presidenza, ha inveito contro i giudici che tentano di limitare i suoi poteri.
In effetti alcuni risultati li ha ottenuti; è riuscito a mettere un freno allo strapotere commerciale della Cina, a risvegliare l’Europa dal suo torpore, a porre al centro del dibattito mondiale la necessità della pace e a siglare, dopo gli scontri-incontri con Zelenski (l’ultimo nella suggestiva Basilica di San Pietro), un accordo con l’Ucraina che prevede un uso congiunto delle terre rare, un Fondo di accumulo per la ricostruzione dell’Ucraina e la rinuncia al pagamento delle spese di guerra sostenute dagli USA. L’accordo in 11 punti viene ritenuto, da più parti, un passo importante verso la pace e anche un monito a Putin al fine di restringere le sue pretese e di accettare sedersi al tavolo delle trattative.

Foto dii Peggy Greb, US department of agriculture – http://www.ars.usda.gov/is/graphics/photos/jun05/d115-1.htm, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10512749

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