Teatro

La Lupa, Verga, Donatella Finocchiaro, Franca Viola ed Emma Dante

È una luce che pare davvero quella della Sicilia – ora infiammata di tramonti ora algida come la luna, ora dorata ora malinconica come l’imbrunire – a conferire, con la ricostruzione dei rumori della campagna, un’atmosfera ricca di magia alla messa in scena de La Lupa, spettacolo diretto e interpretato da Donatella Finocchiaro e che narra in maniera originale e intensa di un personaggio divenuto emblematico.

La novella, inserita nel 1880 in Vita dei Campi è notissima: Giovanni Verga, in meno di millecinquecento parole, vi descrisse il mondo delle chiurme di jurnatari – i contadini che strappavano con le mani nude il nutrimento alla terra -, e dei loro rapporti sociali e religiosi che non ammettevano “stranezze”.

Come quelle della ‘gn’a Pina, detta Lupa “perché non era sazia giammai di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano … ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse”.

Venne poi il dramma in due atti scritto dallo stesso Verga e rappresentato per la prima volta nel 1896 a Torino. E via via, successo dopo successo, quest’ultima Lupa, proficuamente coprodotta da Stabile di Catania e Teatro della Città – Catania (Centro di produzione teatrale), andata in scena il sette luglio scorso nella Corte Mariella Lo Giudice del Palazzo Platamone di Catania, prima di esser presentata a Vizzini per le Verghiane del Centenario. Ieri, infine, lo spettacolo ha debuttato con successo nella Sala Verga di Catania dove sarà rappresentato fino al 26 marzo.

Per questo suo esordio alla regia, Donatella Finocchiaro ha dichiarato l’intento di riabilitare la Lupa con un messaggio alle donne “datevi valore: la femminilità non è vergogna ma un valore aggiunto”. E per meglio raccontare la vicenda, come spiegato da Luana Rondinelli, autrice del progetto drammaturgico e collaboratrice alla regia, ha spostato avanti nel tempo l’azione a “quando la rivoluzione femminile e la libertà sessuale erano ormai alle porte”. Ossia agli anni Cinquanta (o forse Sessanta, visto che le canzoni e l’immagine da manifesto cinematografico della locandina ricordano quei tempi).

La scelta ha un suo senso: fu il 26 dicembre del 1965, ad Alcamo, nel Trapanese, che una ragazza di 17 anni, figlia di contadini, fu rapita dal “fidanzato” mafioso. Questo, dopo averla violentata, le offrì un matrimonio riparatore. Lei, Franca Viola, rifiutò. Era la prima volta che accadeva, in Italia.

Tra l’altro, quelli, in Sicilia, erano ancora gli anni delle Lotte Contadine, delle proteste dei voi senza corna e degli eccidi di sindacalisti e braccianti, uomini e donne, che sarebbero culminati con i fatti di Avola del 1968.

Lo spettatore più maturo trova nella musica – oltre a quella di Vincenzo Gangi, Andavo a cento all’ora di Morandi, i twist, These Boots Are Made for Walkin’  di Nancy Sinatra – la bussola sugli anni degli accadimenti che si susseguono in una massaria della campagna catanese, ricostruita nella suggestiva e funzionale scenografia di Vincenzo La Mendola, che vive giorno e notte. E dove si muove La Lupa, definita da Luana Rondinelli “una figura femminile moderna, soprattutto considerando il contesto storico e culturale nel quale è stata creata”, una donna “che si emancipa dai dettami della società rurale maschilista”.

A parte la carismatica presenza scenica di Donatella Finocchiaro, sensualissima nel ruolo protagonistico, grande entusiasmo e applausi hanno suscitato tutti gli attori, che tra l’altro colorano di innumerevoli inflessioni dialettali lo spettacolo: Bruno Di Chiara, che è Nanni Lasca, l’uomo oggetto della Lupa, è palermitano, Chiara Stassi, Maruzza, moglie di Nanni e figlia della ‘gn’a Pina, è di Salemi. Di Catania sono un incisivo Ivan Giambirtone (Malerba), Alice Ferlito (Filomena) e Laura Giordani (la prefica). Liborio Natali, che interpreta sia Janu sia il Prete, è di Caltanissetta, Raniela Ragonese (Nela) peloritana di Cesarò. Da citare anche Roberta Amato (Grazia), Gianmarco Arcadipane (Cardillo), Giorgia D’Acquisto (Rosa), Federica D’Amore (Lia) e Giuseppe Innocente (Bruno).

Grazie a loro si snoda l’opra de’ pupi nella massaria, tra scorze di luppini rumorosamente sputate, fazzoletti sciorinati a scacciare i bollenti spiriti fuggiti dalle gonne al vento delle contadine. Pronte queste ultime a mutarsi in Baccanti in guêpière in omaggio al Si fa ma non si dice e in attesa della notte, in cui sarà possibile far l’amore sui covoni.

Sul palco – abbiamo già detto dell’eccellente lavoro sulle luci di Gaetano La Mela – grazie agli accurati movimenti scenici di Sabino Civilleri, gli attori fanno rivivere riti agricoli come la pisatura (la separazione del grano dall’oglio), accompagnati da schiocchi di frusta e rumoreggiar di trocculi, e riti religiosi, tra croci, ceroni, altarini e lumini. Nel frattempo vengono narrate le gesta erotiche della ‘gn’a Pina, disposta a tutto pur di avere Nanni Lasca, “bello come il sole, e dolce come il miele”.

“Non mi lascio mangiare” risponde però Nanni, e propone alla Lupa di sposare, invece, la figlia, che ha beni al sole.

Maricchia non lo voleva a nessun patto; ma sua madre l’afferrò pe’ capelli, davanti al focolare, e le disse co’ denti stretti: – Se non lo pigli, ti ammazzo!”.

E qui la teoria degli stereotipi di genere mostra qualche crepa: chi è vittima di chi? Parliamo di patriarcato o matriarcato? D’accordo, infine, che nella protagonista debba prevalere l’Amore, ma dev’essere quello sensuale per Nanni e o quello per la figlia Maricchia e i nipoti che intanto sono nati alla coppia?

Intanto la massaria si muta in curtigghiu e quando Nanni si salva dal calcio mortale della mula, il dramma raggiunge il suo culmine.

“La mia Lupa – scrive nelle note sullo spettacolo Donatella Finocchiaro – … di quella tentazione amorosa e carnale per Nanni si considerava la vittima … e Nanni la considera carnefice perché non riesce a liberarsi dalla sua tentazione … un gioco al massacro …  solo la morte potrà salvarli”.

Tutti “vinti”, dunque. Come Verga avrebbe voluto. Ma una drammaturgia dovrebbe rimaner fedele a ciò che l’autore ha narrato e né nella novella né nel dramma teatrale di Verga si concretizza il femminicidio del finale dello spettacolo. Anche se la scelta drammaturgica potrebbe essere condivisibile.

È semmai la successiva beatificazione della Lupa a sembrare eccessiva. E, piuttosto che verghiana, appare … “dantesca”. Nel senso che si va con la mente all’Angelo di fuoco di Prokofiev diretto dalla palermitana Emma Dante e in cui quest’ultima mostra la protagonista, Renata, condannata al rogo, come una Madonna addolorata trafitta da spade.

Peraltro, come ricordato dalla stessa Finocchiaro in un’intervista del giugno scorso, proprio alla Dante era stata proposta la regia de La Lupa. Ma aveva risposto all’attrice: “Perché non lo fai tu? Dopo vent’anni chi può dirigerti meglio di te?’”.

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