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Il sogno asiatico di un barone sanguinario

Ci sono tempi, uomini ed avvenimenti sui quali la storia sola può scrivere un giudizio definitivo; i contemporanei e gli osservatori isolati debbono solo raccontare ciò che hanno veduto e udito. La verità stessa lo esige.” Tito Livio, citato all’inizio del libro intitolato Bestie uomini e Dei di Paul Ossendowski.

Nella libreria di ogni avido lettore c’è un angolo dedicato ai libri proibiti e ai libri su personaggi eccentrici. Uno di quelli che non può mancare è Bestie uomini e dei dell’avventuriero polacco Ferdinand Ossendowski, un ingegnere minerario tra i più qualificati per la ricerca dell’oro, del carbone e di altri metalli in Siberia, nella Russia meridionale e nella Corea. Nel 1920 si trovava a Krasnojarsk, una città della Siberia centrale mentre infuriava la guerra civile tra l’Armata rossa comandata da Lev Trotzskij e i vari eserciti delle armate bianche dell’Ammiraglio Kolcak, del generale Semenov e del barone Roman von Ungern-Sternberg (1886-1921). L’ingegnere si allontanò da questa città per sfuggire ai combattimenti. Egli conosceva le lingue delle popolazioni di queste lontane regioni ed era in grado di raggiungere i loro accampamenti e i loro villaggi perché aveva visitato questi luoghi alla ricerca di miniere d’oro e di metalli preziosi. Oltre metà del suo libro è dedicata alla narrazione di questo lunghissimo e pericolosissimo viaggio dalla Siberia ai confini con il Tibet e risalendo lungo il confine sino alla Mongolia. La restante parte è dedicata all’ultimo anno di vita del barone Roman von Ungern-Sternberg (1886-1921), con il quale Ferdinand Ossendowski strinse una grande amicizia. È un ritratto molto personale e particolare di una delle figure più controverse della Guerra civile russa.

Il barone Roman von Ungern-Sternberg proveniva da un’antica famiglia nobile che viveva in Estonia. Tra i suoi antenati c’erano nobili tedeschi ed ungheresi. Molti suoi antenati si erano distinti nel corso dei secoli. Furono tra i primi a convertirsi al Cristianesimo e ad imporlo con la forza nelle regioni baltiche. Uno di loro partecipò alla Crociata con Riccardo Cuor di Leone e morì sotto le mura di Gerusalemme. Il barone si vantava di discendere da Attila e da Batu Khan, uno dei nipoti di Gengis Khan che aveva fondato un regno durante il XIII secolo. Per tutta la vita aveva fatto il militare e si era interessato al buddismo e all’esoterismo. Proprio in virtù delle sue conoscenze e della sua ascendenza familiare fu inviato in Siberia al confine con la Mongolia occidentale sin dal 1913. In questa parte dell’Asia, i suoi interessi per l’esoterismo, il buddismo e le culture dell’estremo Oriente raggiunsero il culmine. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu inviato in Galizia e poi nel Caucaso ai confini con l’impero ottomano dove conobbe Grigorij Semenov. Dopo la morte dello zar divenne uno dei principali capi delle Armate Bianche in Siberia, distinguendosi per la sua estrema crudeltà e guadagnandosi gli appellativi di “Barone pazzo” e “Barone sanguinario”. Nel 1919 convocò una grande conferenza pan-mongola in cui convinse i mongoli e svariati altri popoli a combattere contro i bolscevichi al fine di realizzare un grande impero mongolo dal Turkestan alla Manciuria. Il barone si distaccò così anche da Semenov e da Kolcak e si tuffò anche nella guerra tra i mongoli e la nascente repubblica cinese. Il suo contributo fu determinante per riportare al trono Bogd Khan che lo insignì di importanti onorificenze. Il Dalai Lama Thubetn Giatso riconobbe in lui la reincarnazione del Mahakhala. Qualche mese dopo, fu catturato dai bolscevichi che lo giustiziarono il 15 settembre 1921.

Il Barone è un personaggio davvero eccentrico, quasi folle ed estremamente crudele. Ad Ossendowski confidava: “Mio nonno ci portò il Buddismo dall’India, e mio padre ed io lo accettammo e lo professammo. In Transbaicalia ha tentato di formare l’Ordine dei militari buddisti per combattere senza quartiere la depravazione rivoluzionaria.”. Il nonno, infatti, aveva fatto il corsaro e taglieggiato le navi inglesi. Fu catturato e restituito ai russi che lo esiliarono nelle lontane terre della Transbaikalia. Anche il nipote aveva tentato di fondare un ordine buddista senza grande successo. Nel corso degli anni aveva maturato un notevole disprezzo nei confronti dei ceti popolari e delle loro rivendicazioni. Il suo palazzo fu incendiato proprio durante la rivoluzione del 1905.

La visione politica del barone Roman era chiarissima e violentissima: riteneva che l’unico sistema politico possibile fosse una monarchia universale che rappresentasse visibilmente sulla terra l’ordine di Dio. La storia è la lotta tra il Bene e il Male, tra lo Spirito e la Materia, tra la gerarchia e la rivoluzione, tra l’ordine e la depravazione.

Il monarca e la sua élite di guerrieri comandano e sottomettono gli inferiori che devono obbedire senza discutere.  L’élite di guerrieri è un ordine monastico e militare. In questa prospettiva non è nemmeno pensabile che il monarca scenda a patti con il popolo o che ceda sul terreno delle riforme democratiche e costituzionali.

Si esprimeva in questi termini: “Nei testi buddisti e negli antichi libri del Cristianesimo si leggono gravi profezie sul tempo che comincerà la lotta fra gli spiriti del bene e gli spiriti del male. Allora verrà la Maledizione sconosciuta che invaderà il mondo, cancellerà la civiltà, ucciderà la morale e distruggerà i popoli. La sua arma è la rivoluzione. Ad ogni rivoluzione, all’intelligenza ricca dell’esperienza del passato subentra la giovane forza brutale che distrugge, che pone e mantiene in cima a tutto gli istinti e i desideri più bassi, che allontana sempre più l’uomo da tutto ciò che è divino e spirituale. La grande guerra ha dimostrato che l’umanità deve progredire ed ascendere verso più alti ideali; ma poi è venuta la Maledizione, quella maledizione che previdero Cristo, l’Apostolo Giovanni, il Budda, i primi cristiani, Dante, Leonardo, Goethe e Dostojevski. E venuta, ha dato macchina indietro al progresso, ha sbarrato agli uomini il cammino ascensionale verso il Divino. La rivoluzione è una malattia infettiva: l’Europa, entrando in trattative con Mosca si è ingannata ed ha ingannato con il resto del mondo. (…) Il Grande Spirito ha posto alla soglia dell’esistenza umana il Karma, che non conosce ira e pietà, che di tutto chiede conto e punisce e flagella con la fame, la distruzione; la morte della civiltà, della gloria, dell’onore, la morte spirituale; la morte degli stati, la morte dei popoli. Io lo vedo già quest’orrore, questa sinistra e folle distruzione dell’umanità”.

Era profondamente convinto che la modernità, l’illuminismo, la rivoluzione, la democrazia e il socialismo sono la peste e la malattia dell’Europa e che questa malattia avesse contagiato anche la Russia. Neanche la Terza Roma degli Zar gli sembrava sufficiente a restaurare l’ordine nel mondo ed immaginava ancora più ad Oriente un nuovo Gengis Khan in grado di costruire il più grande impero del mondo. Sentiva di essere l’erede o addirittura la reincarnazione di uno di questi re che avevano governato l’impero mongolo nel Medioevo.

Per gli europei, l’Asia rappresenta il luogo dove tutto è grande oltre ogni misura e a questa grandezza corrispondono sempre imperi vasti governati in modo assoluto da un condottiero solo al comando adorato quasi come un dio in terra. L’Asia talvolta ha esaltato le manie di grandezza degli europei come nel caso di Alessandro Magno. Altre volte, al contrario, ha inghiottito e distrutto in modo eclatante queste manie. Ciò è evidente se si pensa alla disfatta della Grande Armata di Napoleone e a quella delle armate naziste durante la Seconda Guerra Mondiale.

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