Spettacoli

Radio Killers in scena al Teatro del Canovaccio di Catania

Nihil sub sole novi, probabilmente, è l’amara sintesi dello spettacolo vincitore del Premio Sicilia di Scena 22/23 del Teatro Biondo di Palermo andato in scena al Teatro del Canovaccio di Catania. Radio Killers; che, letteralmente, vorrebbe dire assassini per radio o della radio o attraverso la radio e invece la radio in questione non è assassina e non ha assassini sguinzagliati in città, ma è il mezzo attraverso cui la brava Valeria La Bua veicola tre diverse storie di cronaca nera, finite male – dunque – per definizione, in cui si alternano a recitare Marta Cirello e Davide A. Toscano che cura la regia assieme a Valeria La Bua; mentre le scene sono di Mariella Beltempo e Rosalba Cannella per la produzione di Bottega del Pane e Teras Teatro.
Il testo scritto da Valeria La Bua presenta spunti molto interessanti ed è attraversato da una domanda inespressa: l’uomo è malvagio oppure e buono, la violenza, il male che egli fa è un dato naturale o è indotto dall’ambiente, dalla società?
Ha ragione Tommaso Hobbes con suo Homo homini lupus o Jean Jacques Rousseau secondo cui gli uomini sono buoni per natura e diventano cattivi in risposta alle frustrazioni che ricevono dal gruppo in cui vivono, oppure ancora Konrad Lorenz secondo cui la violenza è una forza indomabile utile per la sopravvivenza della specie e a vantaggio della collettività?
Il quesito tormenta i filosofi ab immemorabilia e una risposta la pièces, accortamente, non la dà limitandosi a raccontare i fatti e il travaglio psichico che affrontano i protagonisti.
Nel primo episodio un gendarme francese, interpretato dalla sorprendente e versatile Marta Cirello, come un Creonte qualsiasi difende con le unghie e coi denti il proprio comportamento di funzionario ligio, legato alla legge e incurante del fatto che – summum ius summa iniuria – l’obbedienza alla legge provocherà la morte di una madre assieme al proprio bambino: Antigone non abita la gendarmeria francese e Polinice non troverà sepoltura.
Nel secondo episodio una coppia felice, interpretata da Marta Cirello e Davide Toscano, vive il proprio stato di grazia praticando l’essenza del rapporto amoroso secondo la definitiva lezione di Platone: “gli amanti si riconoscono dal fatto che hanno cose da dirsi, ma non sanno che cosa”.
Gli amanti anelano parlarsi.
Sicché i protagonisti comunicano tra di loro senza sosta e obbedendo all’intimo desiderio di chi ama davvero, si producono in dialoghi di vero pregio psicanalitico: Chapeau a chi li ha pensati!
Tuttavia l’amore reciproco non li salverà dalla violenza dell’ambiente circostante e l’aggressività latente e condivisa che li abita entrambi li condurrà alla interruzione del loro sogno d’amore.
Nel terzo episodio Davide Toscano da vita a un padre che, ferito nell’affetto più grande esistente in natura, quello per i propri figli, roso dall’ira, ch’è incapace di dominare, la trasforma in odio e si autodistrugge.
Tre episodi in cui l’amore appare un interludio fra due conflitti, dove l’aggressività che nasce in origine per difendere la prole il cibo e il territorio, pulsione fondamentale della vita assieme alla sessualità per la conservazione della specie e dell’individuo, si afferma con la forza travolgente di Ananke (la Necessità) e di Hybris (la tracotanza) in un costante conflitto di potere teso ad affermare la Libertà/Potere di ciascun individuo a danno dell’altro.
Il male non è solo banale, secondo la lezione dell’Arendt, è inscritto tra le regole necessarie alla prosecuzione della vita: il leone che mangia la gazzella fa del male alla gazzella, ma se il leone non mangia la gazzella muore.
Si tratta di un difetto di fabbrica; ma a chiamarlo difetto siamo solo noi uomini.
A tal proposito mi paiono illuminanti le parole che il grande semiologo Umberto Eco mette in bocca al vegliardo Adso da Melk a conclusione del suo Il nome della Rosa: “l’Anticristo (il Male) può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della Verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente, e la verità si manifesta a tratti anche negli errori del mondo, così che dobbiamo decifrarne i segni anche là dove ci appaiono oscuri e intessuti di una volontà del tutto intesa al male”.
La complessità di questi temi è stata resa come meglio non si poteva da Marta Cirello e Davide A. Toscano, per mezzo di un testo sorprendentemente chiaro ed efficace, da una regia essenziale, sobria e attenta, da una scenografia e da un corredo musicale tanto minimale quanto efficace.
S’è detto Nihil sub sole novi, niente di nuovo sotto il sole perché il cuore dell’uomo è lo stesso dai primordi perduti nella notte dei tempi; e lo spettatore se lo vedrà ricordare per tutti i settanta minuti di durata dello spettacolo dalla formidabile invenzione scenica che riempie il palcoscenico: un marchingegno davinciano di ruote dentate che si intersecano e ruotano con ritmo lento e uniforme, sempre uguale a dispetto del tempo e dei contesti, metafora della vita: come il fiume di Eraclito, sempre diverso e sempre uguale a se stesso.
Panta rei, sia che sia bene sia che sia male.

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