L'Opinione

L’odio è il nostro linguaggio Social

Ci avevano detto che dopo i due anni chiusi in casa per il covid, ne saremmo usciti migliori. Questi due anni, lontani dalla frenesia quotidiana, avrebbero dovuto indurci a soffermarci su noi stessi per capire, se non proprio tutto, almeno di che cosa abbiamo veramente bisogno. E invece, non appena le porte delle nostre case si sono spalancate, abbiamo liberato la nostra rabbia repressa con una violenza tale da travolgere con la stessa impetuosità di un’ondata che non si può evitare.
E’ inutile negarlo, siamo tutti arrabbiati, gli uni contro gli altri in una immaginaria arena all’interno della quale solo chi è più aggressivo crede di spuntarla.
E non ci basta più l’aggressività della quotidianità reale, per scaricare tutto questo rancore che ci ribolle dentro, abbiamo un improcrastinabile bisogno di riversarlo sui Social nella ferocia crudele dei nostri commenti.
Protetti dall’anonimato, ci lasciamo andare senza freni e vomitiamo odio allo stadio puro in modo da trarne quella gratificazione che ci manca come l’aria nei polmoni, perché in fondo, questo è l’unico modo che conosciamo per sentirci veramente migliori.
E non è colpa dei tempi moderni, come qualcuno azzarda, purtroppo noi, esseri umani siamo sempre stati così!
Che gli uomini sono lupi gli uni contro gli altri, lo aveva già capito Hobbes, il quale, per l’esattezza affermava che “Homo homini lupus” riprendendo una verità che aveva a sua volta compreso lo stesso Plauto.
A dimostrazione che, cambiano le epoche storiche, le regole sociali, ma l’uomo resta ossessivamente fedele alla propria indole fondamentalmente egoista e violenta.
Che potrebbe pure avere avuto una sua giustificazione per l’uomo preistorico che doveva lottare per la propria sopravvivenza, ma non per l’uomo moderno che, invece, della prevaricazione ne ha fatto una vocazione personale.
Il nostro prossimo è diventato un nemico da eliminare, soprattutto quello che appare, bello e luccicante, sulle immagini postate sui Social. Più esse ottengono like e consensi e più ci fanno sentire inadeguati, ma per ritornare ad esistere basta scagliarsi con tutto l’odio di cui siamo capaci in modo da sentirci parte della tanto agognata arena Social in cui o si vince o si sparisce nell’oblio.
E allora via libera alla cattiveria gratuita, alla violenza verbale e più sono evidenti e prevaricanti e più i nostri post sono in vetta, si scrive non per esprimere idee e concetti costruttivi, ma solo per essere letti da più utenti possibili e per guadagnare like. E sul numero di questi like edifichiamo la fragile impalcatura della nostra immagine virtuale, dimenticando che l’identità che ci costruiamo sui Social non definisce quella reale.
Ma a noi non importa, il nostro odio, come una palla di cannone, deve colpire e annientare il bersaglio senza lasciare alcuna possibilità di sopravvivenza.
L’odio è il nostro linguaggio Social.
Noi ci sentiamo migliori solo quando distruggiamo l’altro, solo quando ci innalziamo orgogliosi e vincenti sulle ceneri di chi abbiamo annullato.
Ma tutto questo nostro odio virtuale ha sempre più spesso quella stessa concretezza e intensità di un pugno assestato in pancia.
Nessuno di noi si rende più conto che le nostre critiche feroci, i nostri giudizi impietosi, non sono parole digitali, ma che invece producono conseguenze reali e che hanno ripercussioni tangibili nella nostra vita vera.
Ma noi prodi combattenti di questa immensa arena virtuale, non abbiano nessuna coscienza della loro pericolosità in quanto non siamo più in grado di distinguere che cosa sia vero da quello che non lo è.
Siamo così fagocitati da questo universo artificiale, che non siamo più capaci di tenerlo separato dalla nostra vita vissuta.
Qui tutto è possibile, anche la verità non è più la stessa, non deve essere per forza verificata ma basta presentarla come tale, in tal modo la si distorce, la si piega ai pregiudizi individuali e alla fine si trasforma in un gigantesco mostro che inghiotte tutto e tutti e fuoriesce i suoi tentacoli nella vita reale.
La nostra cronaca è costellata di ragazzi suicidi per valanghe di commenti brutali nei loro confronti così come sembra che sia accaduto recentemente anche con la signora Pedretti se sarà confermato il movente del suo gesto.
Ma anche questa volta, l’indignazione collettiva ha finito con l’assomigliare ipocritamente allo stesso colpevole e si è macchiata dello stesso crimine di odio, poiché mentre si critica chi si ritiene abbia indotto la donna a suicidarsi, allo stesso tempo è stato messo alla gogna con la stessa aggressività e violenza di giudici insindacabili e crudeli giustizieri.
La verità reale e giudiziaria è tutta un’altra storia!
E in questa spirale di odio siamo risucchiati tutti, volenti o nolenti, vittime di una società che ci costringe a essere vincenti a ogni costo e che aliena come perdente chi non riesce a correre al suo stesso ritmo.

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