Spettacoli

“Il Mercante di Venezia” in Scena alla Sala Verga

È andato in scena a Sala Verga del Teatro Stabile di Catania un lavoro prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia assieme al Centro Teatrale Bresciano e al Teatro de Gli Incamminati: “Il Mercante di Venezia” di William Shakespeare, nell’allestimento di Paolo Valerio; traduzione di Masolino D’Amico; con Franco Branciaroli e Piergiorgio Fasolo.
Interpreti: Emanuele Fortunati, Riccardo Maranzana, Stefano Scandaletti, Lorenzo Guadalupi, Giulio Cancelli, Valentina Violo, Mauro Malinverno, Mersila Sokoli. Regia e adattamento di Paolo Valerio; scene di Marta Crisolini Malatesta, costumi di Stefano Nicolao, luci di Gigi Saccomandi, musiche diAntonio Di Pofi, movimenti di scena Monica Codena.
Collaborazione: Laura Pelaschiar dell’Università degli Studi di Trieste.
Certamente nebulosa è sempre stata la ricostruzione della vita e addirittura della vera identità di Shakespeare (1564-1616): il grande Bardo, l’anglico cantore, il Cigno di Avon.
Artefice di opere dalla incerta cronologia composte tra il 1558 e il 1613 (ma con un periodo -1585/1592- definito come “lost years”/anni perduti), prestanome di altri scrittori (John Florio, addirittura della stessa Elisabetta I), di ipotetica origine messinese, il grande Will rimane in ogni caso l’autore più rappresentativo della Gran Bretagna.
L’ambientazione di numerose opere in Italia ha fomentato ulteriori congetture, dimenticando che Umanesimo e Rinascimento ebbero larga eco in Europa insieme alla riscoperta della cultura classica.
Molte fonti shakespeariane sono non a caso racconti italiani come quelli tramandati da Luigi Da Porto, Masuccio Salernitano e Mattia Bandello.
La trama, in questo caso, riprende una novella trecentesca di Giovanni Fiorentino, Il Giannetto, prima novella della giornata quarta de “Il Pecorone”.

Quando il trentenne William componeva “Il Mercante di Venezia”, ipoteticamente tra il 1594 e il1596, aveva già al suo attivo 13 tragedie (tra cui ‘Romeo e Giulietta’ ambientata a Verona), e altre 24 ne scriverà dopo.
L’opera ha in sé elementi sia di commedia sia di tragedia; generalmente è considerata una tragicommedia.
Per una migliore contestualizzazione osserviamo che elementi del processo sono presenti nel The Orator di Alexandre Sylvane, del 1596, insieme a fatti di cronaca coeva (l’imbarcazione spagnola St. Andrew catturata dagli Inglesi a Cadice nello stesso anno); l’opera, inoltre, è menzionata da Francis Meres nel 1598 e la prima rappresentazione conosciuta si tenne alla corte di Giacomo I nel 1605.
Tra XVI e XVII secolo si va sempre più radicando passaggio verso l’età moderna caratterizzata da ceti emergenti (in primo luogo i mercanti) e dall’affermazione dell’assolutismo di cui significativa rappresentante è proprio Elisabetta I che con la sua politica economica e religiosa stacca definitivamente il suo regno dal servaggio papale. E Shakespeare è il cantore della sovrana e della sua epoca: non avrebbe potuto avere quella libertà d’azione, che gli fu consentita, nel clima dell’Inghilterra elisabettiana.
Importanti per lo storico sono, è noto, le fonti d’archivio, ma a queste vanno aggiunte quelle letterarie e teatrali.
Il teatro, per dirla con Giada Trebeschi, è uno dei più importanti specchi della società in cui l’autore vive ed opera, una chiave di lettura interessante per veicolare, come negli affreschi medievali, idee e messaggi anche agli analfabeti superando ogni censura perché…è finzione.
Se i pamphlet politici sono riservati agli intellettuali, il teatro diventa strumento d’insegnamento, di propaganda o di polemica dell’ordine stabilito, dandoci l’accesso alla visione che del mondo avevano i coevi ‘tutti’.
Venezia, in particolare, è in quell’epoca una società borghese e capitalista, non ancora fortemente industrializzata ma commerciale e non più feudale, basata non sui possedimenti terrieri ma sulla speculazione e dunque sul ‘denaro’.
Venezia è la metafora dello stato moderno.
L’usura, prestare cioè denaro liquido a interesse, diventa una necessità: un peccato ‘utile’ ma pur sempre esecrabile
Dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna, nel 1492, molti di essi si rifugiarono a Ferrara, dove erano tollerati dal duca d’Este, o a Venezia.
Già alla fine del Trecento, infatti la Serenissima aveva accettato i ‘prestatori’ ebrei (contrassegnati da un simbolo giallo) concedendo loro la libertà religiosa e il permesso di soggiorno in cambio del ruolo bancario assicurato; fino a creare, due secoli dopo, il primo ghetto in un mondo oscillante tra Riforma e Controriforma, intolleranza e Inquisizione.
Etichettati negativamente essi svolgevano un lavoro considerato sporco e peccaminoso ma assolutamente necessario ai commerci e al benessere di una città come Venezia.
Shakespeare sembrerebbe creare la figura di Shylock in base allo stereotipo dell’ebreo vendicativo, avido e usuraio tipico della mentalità collettiva degli europei del tempo, ma sostanzialmente delinea un personaggio, emblematico di una mutazione epocale, che introduce la cultura dell’intraprendenza economica, del denaro e dei guadagni.
In realtà, cristiani ed ebrei sono molto simili, gli uni hanno assoluto bisogno degli altri.
Non Shylock ma Antonio è il triste mercante di Venezia che, non sapendo resistere alle richieste del giovane ‘amato’ Bassanio (“Ricordami alla tua onorata sposa, dirà durante il processo…dille che t’amai… che sia lei giudice se Bassanio non ebbe una volta un amore”) e sicuro della sua futura solvenza, si rivolge all’ebreo per ottenere una somma che serve al corteggiamento del suo amico per ottenere la mano della ricca ereditiera Ponzia.
Nel teatro elisabettiano la commedia comprendeva tipicamente una trama principale e una secondaria; ma nel ‘Mercante’ le due trame e i due luoghi a cui sono legate rimangono altrettanto importanti: si rispecchiano uno nell’altro e si intrecciano.
La prima ruota attorno al prestito che Shylock concede ad Antonio con il pegno della libbra di carne (“firmatemi il vostro contratto, con la clausola (è solo per sport) che se non mi rimborsate nel tale giorno e nel tale luogo la tale somma, la penale sarà stabilita in una libbra precisa della vostra bianca carne…”); la seconda si incentra sul corteggiamento di Porzia con la scelta fra i tre scrigni. L’azione si svolge tra Venezia, città di commercio del nuovo mondo borghese, e Belmonte, incantevole cornice d’amore.
“For sport. Shylock dice così, nel momento cruciale del primo atto del ‘Mercante di Venezia’, rivolgendosi ad Antonio, dice il regista Paolo Valerio. Quindi è un gioco, uno scherzo, una bagatella… Tutta questa storia di una libbra di carne è solo il divertimento di un ricco ebreo che vuole farsi beffa di un mercante tanto arrogante quanto malinconico. Dietro a questo ‘sport’, a questa ignobile beffa, c’è però una storia di vendetta, di denaro, di tradimenti, di emarginazione. E carne e sangue: Shylock ne è ossessionato”.
Infine il processo con Porzia, una donna, come protagonista.
A Londra prima del 1570 gli attori si esibivano nei cortili, nelle piazze oppure alla corte della Regina Elisabetta (il primo teatro, “The Theatre”, fu aperto nel Shoreditch a nord di Londra nel 1576), ed erano tutti uomini o ragazzi perché le donne non potevano recitare o prendere parte ad un’opera teatrale.
Come in altri lavori, anche in questo, invece, Shakespeare mette in luce la figura della donna in tutte le sfaccettature: Porzia, bella, cortese, ricca, intelligente e sagace; Giulietta, la ribelle; Cleopatra, forte e fascinosa; Lady Macbeth, avida; Ofelia, debole e vulnerabile; Desdemona, l’ingenua…
Al processo Porzia riesce a superare in astuzia e retorica Shylock che rappresentava per gli elisabettiani cristiani il concetto ebraico di “giustizia”, in contrasto con il valore cristiano della clemenza: “La clemenza ha natura non forzata -dirà Porzia- cade dal cielo come la pioggia gentile sulla terra sottostante; è due volte benedetta, benedice chi la offre e chi la riceve”.
E Shylock?
Al di là delle opinioni di Shakespeare, che certo conosceva “L’ebreo di Malta” di Christofer Marlow, gli antisemiti si sono spesso serviti di quest’opera.
La società inglese in epoca elisabettiana era giudeofobica. Gli ebrei inglesi furono banditi nel 1290 da Edoardo I e poterono ritornare solo nel 1656, con Cromwell.
Negli ultimi anni del Cinquecento, inoltre, l’antisemitismo della società inglese fu risvegliato da un episodio che coinvolse Roderigo Lopez, un marrano portoghese medico personale di Elisabetta che nel 1594 fu accusato di aver tentato di avvelenare la regina, condannato a morte e giustiziato. In quell’occasione fu rimesso in scena il dramma di Marlowe del 1589.
A cominciare da un’edizione del 1619 in cui il titolo del “Mercante di Venezia” recava anche l’eloquente scritta “With the Extreme Cruelty of Shylock the Jew” fino alla Germania nazista che lo trasmise via radio immediatamente dopo la ‘Notte dei cristalli’ l’antisemitismo imperava in Europa.
Nel XVIII secolo, sull’onda dell’attore Edmund Kean e del drammaturgo Richard Cumberland, si iniziò invece a interpretare come umanamente positivo Shylock.
Man mano si cominciava a cambia opinione e quasi a impietosirsi di fronte al suo destino: “Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo? Non sente anche lui le ferite?”.
Anche se il discorso non nasconde la vendetta si è notato che Shylock, tuttavia, l’ha appresa dai cristiani.
In questa direzione si è mosso pure il film diretto da Michael Radford e interpretato da Al Pacino nel 2004.
I tre motivi dell’avidità di denaro, dell’affetto per la figlia, dell’orgoglio di essere ebreo, s’intrecciano in Shylock in maniera complessa in questa tragicommedia.
“Un ebreo, non ha occhi? non ha mani, un ebreo, membra, corpo, sensi, sentimenti, passioni? non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, soggetto alle stesse malattie, guarito dalle stesse medicine, scaldato e gelato dalla stessa estate e inverno di un cristiano? Se ci pungete, non sanguiniamo? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate torto, non ci vendicheremo? Se siamo come voi in tutto il resto, vi somiglieremo anche in questo. Se un ebreo fa torto a un cristiano, che fa il mite cristiano? Vendetta! E se un cristiano fa torto ad un ebreo, che farà, secondo l’esempio cristiano, l’ebreo paziente? Vendetta! Metterò in pratica la malvagità che mi insegnate, e sarà difficile che non superi i maestri.”
Il bene e il male hanno mille sfumature: non possono essere compresi all’interno di una visione manichea.
In conclusione non si può che plaudire a questa magnifica edizione dell’opera shakespeariana, splendidamente diretta e magistralmente interpretata, che invita alla riflessione al di là del tempo e dello spazio.
In un quadro storico ben delineato enigmatica rimane la figura di Shylock, sorprendentemente attuale e lacerante per noi contemporanei che non possiamo dimenticare gli orrori della Shoà, né restare indifferenti di fronte alla crudeltà del dramma palestinese che sconvolge oggi le nostre coscienze.

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