Spettacoli

“Boston Marriage” allo Stabile: scandalo, ironia e gioco degli equivoci

Dal 13 al 18 febbraio è andata in scena alla ‘Sala Verga’ del Teatro Stabile di Catania la pièce di David Mamet: “Boston Marriage”. Traduzione: Masolino D’Amico; regia: Giorgio Sangati. Con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Ludovica D’Auria; scene: Alberto Nonnato; costumi: Gianluca Sbicca; luci: Cesare Agoni. Produzione: Teatro Biondo Palermo & CTB – Centro Teatrale Bresciano.
Il poliedrico drammaturgo/saggista, poeta/sceneggiatore e regista David Alan Mamet (Chicago, 1947), figlio di ebrei russi della buona borghesia statunitense è stato vincitore del Premio Pulitzer nel 1984 e candidato all’Oscar nel 1983 (“Il verdetto”) e nel 1998 (“Sesso & potere”).
Ha debuttato nel cinema nel 1981 con il famoso “Il postino suona sempre due volte”: ha al suo attivo 28 film (di 9 dei quali è stato anche regista), 34 opere teatrali, 3 fiction per la televisione, 21 saggi, 2 raccolte di poesie, 5 libri per bambini, 11 canzoni.
Il merito di averlo fatto conoscere in Italia si deve a Luca Barbareschi che ha portato i suoi lavori sulle scene negli anni Ottanta del Novecento come attore, regista e traduttore.
Mamet è l’autore della piacevole pièce teatrale che ha divertito il pubblico dello Stabile la scorsa settimana.
Messa in scena per la prima volta nel giugno 1999 all’American Repertory Theatre di Cambridge in Massachusetts, evoca la brillantezza e la sottile ironia di Oscar Wilde e la rappresentazione sociale senza censure di Henry James.
Autori emblematici, questi, precursori tra XIX e XX secolo dell’odierno, eversivo, dibattito sulla liceità e l’accettazione dell’orientamento sessuale.
“Boston marriage” è ambientato (guarda caso…) in un salotto vittoriano di fine Ottocento.
Qui Anna e Claire, due dame in passato unite da una relazione amorosa (“Boston marriage” allude proprio a una convivenza tra donne autonome e indipendenti), si rincontrano dopo una lunga separazione durante la quale la prima si è rifatta una nuova vita con un gentiluomo ‘protettore’ che le consente agiatezza e doni preziosi come la collana di smeraldi che indossa.
Mentre Anna spera di riconquistare l’antica amante, Claire rivela il suo innamoramento per una giovinetta.
Per questo è tornata, solo per chiedere all’amica complicità e un luogo in cui potersi incontrare in segreto con la nuova fidanzata.
Il terzetto al femminile è completato dall’ingenua (ma non troppo) e buffa servetta Catherine che con i suoi candidi equivoci e le sue strampalate battute contribuisce al ‘divertissement’.
Un colpo di scena finale metterà in crisi la vita delle tre donne.
“Il continuo gioco di facciate – afferma il regista Giorgio Sangati – diventa la chiave di questa messa in scena che cerca di amplificare la funzione di prestidigitazione dell’opera, la quale nasconde da un lato per svelare dall’altro, usando la finzione come unico strumento per arrivare alla verità”.
Così tra sottintesi, allusioni, stravaganze, paradossi e colpi di scena si dipana un’intrigante trama apparentemente scontata, ma in realtà un vero gioiello del teatro di parola.
Per Manet infatti protagonista vuole essere il linguaggio e, di contro, il non-detto, con l’intento di rappresentare una società che ondeggia tra ipocriti valori e aperture progressiste.
L’autore, con la sua esilarante commedia degli equivoci, vuole trasformare in scherzo un sotteso, raffinato scandalo affrontando con eleganza il tema dell’omosessualità femminile, e così riabilitarlo tra una risata e una riflessione.

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