Non sono bastati i Templi a salvare Agrigento

Per risalire la china, “ci vorrebbe che Zeus venisse fuori dal suo sacrario nella Valle dei Templi e scagliasse un fulmine risolutore” (Laura Anello).
La Corte dei Conti boccia Agrigento capitale della cultura 2025.
Flop del turismo, presenze identiche al passato, un concerto affidato a “Il Volo” ad agosto, con gli spettatori obbligati a cappotti e piumini” e mandato in onda a Natale, il cartello sbagliato con due strafalcioni, e tanto altro. In questi giorni, su tutti i quotidiani nazionali, da “La Stampa a “Il Corriere della Sera, da “La Repubblica” a “Il Fatto Quotidiano”, vengono elencati i fallimenti registrati ad Agrigento, nonostante le spese stratosferiche.
La Corte dei Conti elenca punto per punto gli errori e le falle, sottolineando i “rilevanti profili d’incertezza”, i “significativi profili di confusione”, i “rilevanti ritardi nella rendicontazione”, mentre “non sussiste alcuna evidenza istruttoria positiva sul coordinamento delle attività”, “nell’organizzazione” o “nella verifica della congruità dei costi”. “L’andamento della riscossione dell’imposta di soggiorno — scrivono i giudici Salvatore Pilato e Giuseppe Di Prima — ha segnato percentuali tendenzialmente raffrontabili con quelle degli anni anteriori, senza il conseguimento dell’incremento percentuale espresso nei dati previsionali dell’iniziativa”. In sintesi, i 12,7 milioni di fondi pubblici, in buona parte regionali, dirottati sulla città di Agrigento per mostre, visite ed eventi non sono serviti a niente.
Per risalire la china, scrive Laura Anello su “La Stampa”, “ci vorrebbe che Zeus venisse fuori dal suo sacrario nella Valle dei Templi e scagliasse un fulmine risolutore”.
Anche noi già da mesi, sia sul Qds, sia su Sikelian, avevamo segnalato incompetenze e ritardi poiché, in realtà, già fin dalle battute iniziali e dai primi eventi di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025, erano emersi, da parte di tanti, dubbi e perplessità sull’effettiva capacità organizzativa dell’evento.
Evidenti le lacune nei settori strategici: infopoint, parcheggi, trasporti urbani, infrastrutture, viabilità e forniture idriche, decoro urbano e illuminazione pubblica.
Anche ilprogramma culturale appariva lacunoso per una città che aveva dato i natali o ispirato autori quali Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e che vantava il meraviglioso parco archeologico, patrimonio dell’umanità, della Valle dei Templi. Alcuni degli eventi erano in ritardo, come la mostra “Agrigento e i Chiaramonte”, che doveva essere inaugurata a gennaio e che ancora a marzo non era stata aperta, i laboratori di Banksy Humanity Collection e dell’artista cipriota Efy Spyro, previsti da gennaio, ma mai partiti. In programmazione risultavano alcuni eventi già esistenti, come la Sagra del Mandorlo in Fiore, il FestiValle, il Carnevale di Sciacca e la Festa di San Calogero che avrebbero avuto luogo indipendentemente dal titolo di Capitale della Cultura.
Anche il cartellone degli spettacoli lasciava a desiderare e pochi risultavano i titoli significativi. Non meno preoccupante la gestione della Fondazione Agrigento Capitale della Cultura 2025, che ancora, nonostante i cambiamenti al vertice, non disponeva di una sede operativa stabile, né di un personale adeguato. La nuova presidente, Maria Teresa Cucinotta, aveva ammesso le difficoltà incontrate e aveva promesso che le proposte di associazioni e sponsor sarebbero state vagliate attentamente.
E, intanto, quasi tutti i musei cittadini restavano chiusi. Il Museo Civico di Agrigento, all’interno dell’ex Collegio dei Filippini, risultava chiuso da tempo. Chiusa la pinacoteca comunale allocata presso l’ex Collegio dei padri Filippini. Rimaneva fruibile, e solo parzialmente, il complesso monumentale di Santo Spirito. Nel refettorio di Santo Spirito, infatti, da mesi era in allestimento la mostra sui Chiaramonte, promossa dall’Ente Parco Valle dei templi, ma non vi era nessuna notizia relativa all’apertura.
In particolare, il museo ospitato nel Monastero di Santo Spirito soffriva di una grave mancanza di personale: non vi erano custodi nelle sale, né una guida per accompagnare i visitatori, che ricevevano in ingresso una fotocopia che avrebbe dovrebbe orientarli nella visita e nulla più. Questo rendeva quasi impossibile una fruizione completa delle opere esposte e riduceva l’attrattiva per i turisti. La questione non riguardava solo questi due spazi. Anche altri piccoli musei, come l’antiquarium dei Padri Liguorini, gli spazi espositivi di Santa Caterina e Santa Maria dei Greci, rimanevano spesso fuori dai circuiti ufficiali, con aperture sporadiche e difficoltà gestionali.
La sensazione generale era che Agrigento non fosse pronta a gestire il ruolo di capitale della Cultura e ancora risuonano pesanti, come pietre, le parole pronunciate da Pietrangelo Buttafuoco, neo Presidente della Fondazione Biennale di Venezia. “Avevo un’idea ben precisa, che fosse l’occasione delle occasioni. Credo – affermava Buttafuoco – che ci siano tutti i presupposti affinché da Roma, quindi dal comando centrale, si abbia la consapevolezza di impugnare il tutto, anche a costo di essere sgarbati nei modi, perché non si può perdere questa occasione”. In sostanza una richiesta di commissariamento, per quella che potrebbe trasformarsi nella solita “formula aritmetica che porta ‘piccioli’, ovvero soldi a palate da distribuire, in assenza di una progettualità adeguata, il vuoto di notizie, l’assenza di un programma di comunicazione, con la sensazione che la Fondazione “Agrigento 2025”, costituitasi (con gravissimo ritardo) per organizzare e promuovere l’evento, fosse il solito carrozzone burocratico, motore di una giostra che piazza incarichi e capitali, ma che sul piano concreto e intellettuale non ce la fa”.
Doveva essere il trampolino di rilancio di Agrigento, ma la Fondazione “Agrigento 2025” aveva già deciso di chiudere i battenti anzitempo, a fine anno, perché era mancata una visione d’insieme ed erano stati spesi oltre 4 milioni di fondi pubblici, mentre i privati si erano tenuti alla larga da un carrozzone sfondato.
Agrigento, che avrebbe dovuto consacrarsi come polo culturale del Mediterraneo, rischia di essere ricordata come un’occasione perduta con un grave danno d’immagine per Agrigento e per la Sicilia tutta.
La missione strategica, fondata su una visione culturale e infrastrutturale con orizzonte almeno fino al 2028, è stata smentita dai fatti e ora al vaglio della Corte dei Conti.



